domenica 30 giugno 2013

Il gruppo, ovvero il lato oscuro della Forza.

Leggendo il libro appena uscito “Contro i cattivi funziona” non ho potuto non trovare un forte collegamento con le riflessioni che avevo fatto sul tema di giugno di GenitoriCrescono su “Fare gruppo. Appartenere” al quale non avevo trovato il tempo di partecipare nonostante anche Marzia di L'ascia sull'uscio mi avesse invitato a farlo in seguito a un mio commento ad un suo post . Visto che erano cose che ultimamente mi frullavano in testa, che in verità mi frullano in testa da tanti anni, e che vorrei costituissero una delle principali riflessioni da portare avanti con mia figlia, ho deciso di iniziare a scrivere questo post.

Il tema ci riguarda sin da piccoli e ce lo portiamo per tutta la vita, in quasi tutti i suoi aspetti, paradossalmente sia per gli ambienti che frequentiamo che per quelli ai quali non apparteremo: quanto riuscire a sviluppare e far prevalere le nostre caratteristiche, in poche parole la nostra individualità, rispetto alla voglia di essere accettati dagli altri e, quindi, di sentirsi parte di un gruppo.

Ogni individuo è unico, con proprie caratteristiche e peculiarità, ma, come sappiamo, "l'uomo è un animale sociale". Ha bisogno degli altri per prendere consapevolezza di se stesso, del proprio valore, forse della propria stessa esistenza. E purtroppo il bisogno può portare a scelte decisamente sbagliate.

Ho sempre pensato che una persona debba stare bene con se stessa prima di poter stare in mezzo agli altri. Purtroppo, molte volte, gli individui cercano di colmare con l'appartenenza a un gruppo la mancanza di uno scopo personale, come se un obiettivo condiviso permettesse di dare un senso alla propria individualità.
Questo perché il gruppo dà forza ai suoi componenti. Il gruppo crea l'antagonismo, perché il vero senso di appartenenza sta in piedi solo se c'è il suo contrario, ovvero l'esclusione.
Il gruppo è un po' come il lato oscuro della Forza. Crea attrazione. Ci affascina. Perché ci fa sentire parte di qualcosa nel caso in cui la nostra considerazione di noi stessi non sia poi così elevata. Ci garantisce popolarità, ancorché ristretta, e amici, o pseudo tali. Ci fornisce un ruolo nell'ambito di un'organizzazione.
Come per la Forza, i gruppi non sono negativi in quanto tali ma è bene sapersi confrontare con essi.
Bisogna avere una grande forza interiore per potersi confrontare con “il gruppo” con senso critico, senza perdere di vista quello che si è.
Secondo me, è questo uno degli elementi che caratterizza un individuo per essere un adulto, indipendentemente dall'età anagrafica.

Ma adulti bisogna diventarlo, attraversando molte e difficili fasi della crescita.
Le criticità da affrontare deriveranno sia dal passaggio in periodi particolari, come l'adolescenza, che dal contesto nel quale si trascorre la propria vita di bambini, ragazzi e adulti.

Un contesto, almeno quello italiano, sempre più all'insegna del “nazional-popolare” nel quale i gusti sono pressoché omologati e qualsiasi allontanamento da “quello che piace a tutti” viene percepito con diffidenza.
Non puoi dire di non vedere quel programma alla tv, ad esempio perché non ti piace o hai altro da fare, perché vieni percepito come qualcuno che si crede di essere chissà chi. Non sia mai che tu faccia riferimento a un qualcosa che hai letto che non sia una rivista sportiva o uno degli ultimi best seller.
Mi rendo conto che, forse solo nel nostro Paese ma non ho gli elementi per dirlo, non sono accettate le differenze che potrei definire “intellettuali”. Sembra che siano percepite dagli altri come evidenze dei propri deficit. E' veramente molto strano. Sembra normale sentir dire di aver fatto tardi la sera all'allenamento in palestra mentre c'è qualcosa che suona stonato quando qualcuno dice di aver fatto un corso serale.
Lo percepisco quasi quotidianamente.

Quando queste esperienze arrivano nella vita di un bambino, perché non bisogna essere grandi per iniziare a scontrarsi con certe situazioni, bisogna che gli adulti forniscano gli strumenti necessari per affrontarle.
Insegnare a saper dire “no” anche quando gli altri intorno dicono “sì” o aver il coraggio di affermare il proprio “sì” quando il gruppo nega con un categorico “no”.
Perché si inizia da bambini con qualcosa di leggero come esprimere una preferenza per un gioco per arrivare a cose più serie e importanti per tutto il corso della propria vita.

Per gli adulti un avvertimento. Non sono cose che si insegnano “a tavolino” ma solo quotidianamente con l'esempio.

2 commenti:

  1. Direi che hai espresso perfettamente l'idea che io cerco di formarmi guardando mio figlio.
    Non l'ho mai provato su di me perchè io ero omologata "senza fatica", ossia ero felicemente parte della media dei miei coetanei.
    Ma per mio figlio non è così, il peso dell'omologazione è gravosissimo e l'attenzione verso la diversità davvero scarsa. Un bambino che non si adegua ai canoni sociali, che apprende in modo originale, che non trova nel gruppo la sua dimensione di espressione ... è un bambino escluso e la sua famiglia messa sotto analisi. Sono molto arrabbiata per questo, perchè siamo ancora qui a chiederci se e quale tipo di aiuto ci serva per supportare il nostro fantastico bambino fuori "standard".
    Grazie Daniele, leggerti mi aiuta davvero tanto ad esplorare pieghe emozionali che non sono parte del mio personale percorso.

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    1. Mi fa veramente piacere.
      Scrivo di quello che vivo e ho vissuto, questo tema in particolare mi sta davvero a cuore.

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