lunedì 22 dicembre 2014

Se l’asilo diventa una sfilata di giocattoli

Temo il rientro all’asilo dopo le vacanze di Natale.
Dopo un primo inizio caotico con bambini che portavano diversi giocattoli da casa è stata messa la regola che ogni bambino può portare un solo giocattolo. Nelle intenzioni delle maestre questo limite doveva servire per permettere ai bambini di portare un pupazzetto per il momento della nanna.
Nella pratica i bambini, ma in questo caso dovremmo dire i genitori, rispettano più o meno il limite ma quell’unico giocattolo è diventato l’occasione per mostrare quanti e di quale valore giocattoli si hanno. Così succede che i bambini vogliano portare, ma soprattutto che i genitori concedano, un giocattolo diverso ogni giorno e che sia qualcosa che piaccia anche agli altri compagni.   
Lo sento da mia figlia che la mattina mi dice “Questo pupazzetto non lo voglio portare perché i miei amici l’hanno già visto” e lo vedo da cosa portano gli altri bambini in classe. Qualcuno ha avuto il coraggio di portare giochi elettronici che, secondo me, rappresentano il contrario di quella socialità che dovrebbe incoraggiare l’asilo.
Per questo temo il rientro all’asilo dopo le vacanze di Natale quando i bambini avranno tanti regali nuovi. 
Noi abbiamo già cercato di chiarire a mia figlia, mentre esprimeva le sue preferenze per i regali di Babbo Natale, che non avrebbe potuto portarli tutti all’asilo. Ma già ci prepariamo a discussioni mattutine.
Io sarei per mettere una nuova regola. Come si dice “Anno nuovo, regola nuova”. “Non si portano da casa giochi all’asilo”.
Unica eccezione, il pupazzo per la nanna da lasciare nella brandina.
Sono sicuro che qualcuno attaccherà due orecchie e una coda di stoffa al tablet per poterselo portare all’asilo…

domenica 14 dicembre 2014

“Babbo, è finito. Lo puoi buttare” ovvero la seconda vita dei pennarelli

Mia figlia è nel pieno del periodo di colorite da pennarelli. Non parliamo neanche di matite o cere, solo pennarelli. Perché con colori molto più vivaci e decisi e, forse, anche perché si riesce a colorare con meno fatica.
La colorite si manifesta con la voglia di colorare qualsiasi cosa, non solo le pagine con i disegni da colorare ma anche i disegni già stampati colorati o i fogli bianchi solo per la voglia di dare colore.
Qualche giorno fa entrando all’asilo l’ho vista intorno a un tavolo pieno di pennarelli con altri bambini. Mi sono avvicinato per sbirciare e mentre gli altri avevano abbozzato alberi, fiori, case o bambini sul suo foglio ho visto che lei stava colorando con tutti i colori disponibili quella che sembrava una semplice sfera. Le ho chiesto cosa stesse colorando e lei mi ha spiazzato con una delle sue risposte: “Un girotondo”.
Una conseguenza della colorite è che i pennarelli hanno un ciclo di vita veramente breve, tra comprarli e gettarli passa veramente poco. Anche perché i colori dei pennarelli sono belli quando sono vivaci. Già quando iniziano a essere un po’ sbiaditi l’interesse crolla inesorabilmente.  
Così, prendendo spunto da un’idea vista in uno dei tanti laboratori, quando mia figlia mi porta i pennarelli dicendomi “Babbo, è finito. Lo puoi buttare” io le dico di metterli in un cassetto.
I pennarelli che funzionano poco possono essere utilizzati per un’attività diversa dal colorare, nuova e divertente.
L’incontro con il sale da cucina permette di dare ai pennarelli una seconda vita.

lunedì 8 dicembre 2014

Momenti che riempiono il cuore

Durante la settimana le mattine nelle quali non accompagno mia figlia all’asilo è la mamma a svegliarla e, di solito, io sono già uscito per andare a lavoro.
Il fine settimana, visto che ultimamente si sta svegliando a orari non degni di un sabato o domenica, quando si affaccia in camera nostra mi trova a letto. Anche se ho sentito l’avvicinarsi dei suoi passettini sul parquet, perché da genitori non si ha più il sonno pesante come una volta, faccio finta di dormire ma lei mi pizzica un piede attraverso la coperta.

Qualche mattina fa mentre io ero in bagno con la porta socchiusa per fare poco rumore e non svegliarla prima dell’ora stabilita, mia figlia si è alzata. E’ andata dritta in camera nostra, non facendo caso che la stanza da bagno era chiusa. Non vedendo nessuno a letto è scesa nel suo piagiamino a cercare la mamma.
Io non mi ero accorto di niente ma quando ho sentito di mia moglie dire “Buongiorno!” ho capito subito.
Così mi sono affacciato alle scale chiamando mia figlia.
Lei, sentita la mia voce, è esplosa in un “C’è babboooo!!!” con una tale di felicità e contentezza, come se fosse la più bella sorpresa, che quelle parole mi hanno veramente riempito il cuore.

lunedì 1 dicembre 2014

Camminare facilita il dialogo #camminarparlando

Ultimamente mi capita più spesso di camminare insieme a mia figlia. Crescendo si stanca meno e ormai il passeggino è stato abbandonato.
Ad esempio, qualche sera fa mentre andavamo a piedi in biblioteca ho iniziato a parlare del fatto che quella mattina aveva fatto tante storie per alzarsi dal letto. Durante il percorso ci siamo confrontati e scontrati: “La mattina sono stanca”, “La sera non vorresti mai andare a letto”, “Puoi fare il riposino all’asilo”, “Ci sono bambini che non mi fanno dormire”…
Oppure, approfittando del caldo sole che ancora ci concede questo autunno, qualche pomeriggio fa siamo usciti e abbiamo fatto una camminata veramente lunga. Tanto che io ogni tanto dicevo “Ricordati che dobbiamo tornare indietro a piedi” e lei ribattevate “Sì, lo so. Ma voglio arrivare laggiù”. Così tra un “Lo sai come si chiama questo albero?” e un “Perché i cani abbaiano?” ho colto l’occasione per buttare lì qualche domanda sull’asilo, sui suoi amichetti, su quello che le piace di più o di meno.

Non ho elementi scientifici per affermarlo ma, mi sembra, che passeggiare insieme favorisca il dialogo. Sembra che venga più facile chiacchierare, raccontare e ascoltare.
Non so se camminando ci si rilassi o l’impegno fisico, più lieve rispetto alla corsa ma comunque presente, rilasci qualche sostanza nel nostro organismo e ci renda più predisposti a parlare rispetto a essere seduti da qualche parte. 
Non so se dipenda dal fatto che camminando il nostro sguardo sia normalmente rivolto verso la strada e solo ogni tanto ci si guardi. Alcune volte viene meglio parlarsi senza guardarsi negli occhi, forse per pudore. 
Non so se esistano spiegazioni... ma mi piace molto camminar parlando.