mercoledì 23 novembre 2016

Adesso sono un po’ più Pimpa e un po’ meno Armando.

Ammetto che con la Pimpa non era scattata una particolare simpatia. Né nella sua versione animata negli episodi in tv né attraverso la lettura i libri che avevo comprato a mia figlia. Mi sembravano storie un po’ strampalate. 
 
Da quando mia figlia sta imparando a leggere ho scoperto che dei tanti libri per bambini che ci capitano tra le mani, quelli che acquistiamo o quelli che prendiamo in prestito in biblioteca, pochissimi sono scritti utilizzando lo stampatello maiuscolo, la prima tipologia di carattere usata a scuola. E la Pimpa è uno dei pochi.
Così, partendo dai libri che avevamo già a casa, abbiamo ampliato la collezione della cagnolina a pois rossi.

Devo dire la verità, questo “secondo incontro” con la Pimpa è stato molto più coinvolgente. Probabilmente perché abbiamo approfondito la storia dei diversi personaggi o perché conoscendola, pagina dopo pagina, mi sono un po’ affezionato. O forse perché all’inizio ero un po’ troppo come l’Armando, e come a lui le storie della Pimpa mi sembravano strane, mentre adesso sono anche io un po’ Pimpa, aperto verso qualsiasi tipo di avventura fantastica.  
Di fatto, la Pimpa si è conquistata un posto particolare nei miei ricordi, e direi nel mio cuore, perché avrà accompagnato mia figlia, mano nella zampa, durante la sua scoperta della lettura.       

venerdì 18 novembre 2016

Dal dito medio all'Uomo Ragno il passo è breve

Di solito la scena è questa: mia figlia è seduta in bagno ed io in piedi di fronte al lavandino che mi lavo i denti o mi sistemo la barba. Non ho ancora capito il perché ma questa situazione è quella che in assoluto favorisce le confidenze ed i racconti sulle sue giornate. Forse perché, pur essendo vicino, mi vede impegnato in altro e vuole richiamare la mia attenzione. O forse perché, per lei, stare in bagno è uno dei suoi momenti di maggiore tranquillità. Forse perché è sera, è stanca e parlare la rilassa. O forse perché, di sera, rimette in fila i principali avvenimenti della giornata. Non saprei.

Ieri sera, proprio mentre eravamo in bagno, d’improvviso, come al suo solito, mia figlia alza il suo dito medio verso di me e mi chiede “Cosa vuol dire questo?”. Io prendo tempo indicando che ho la bocca piena di dentifricio.
Lei continua: “Una bambina mi ha detto che è una cosa brutta.”
“Eh sì”, dico io.
“Sì, ma che vuol dire?” incalza lei.
“Vuol dire vai al quel paese.”
Lei mi guarda perplessa, ovviamente non ha senso averle detto di “quel paese”, che non sa cosa sia.
“E’ quando qualcuno ti fa arrabbiare così tanto che gli dici di andare via.” rispondo senza addentrarmi nel dettaglio di quel “via”. “E’ un gesto. Come quando metti pollice, indice e mignolo per dire che Ti voglio bene”.
“No, anche quello è un gesto brutto!” ribatte lei.
“No, questo no. E glielo mostro.”
Lei lo rifà con pollice, indice e mignolo ma gira la mano con il palmo in alto. “Così lo fa l’Uomo Ragno. E’ brutto.”
“L’uomo Ragno lo fa per far uscire la ragnatela.” cerco di spiegarle.
“Vedi, se lo fa l’Uomo Ragno è brutto.”
“Comunque l’Uomo Ragno non è brutto, è un supereroe, cerca di aiutare le persone.”
“Ma da dove gli esce la ragnatela?”

Bei tempi quando il bagno era fuori, in un campo, a qualche metro dalla casa. Immagino che, specialmente d’inverno, non ci si perdesse in chiacchiere.

mercoledì 2 novembre 2016

“Ho pianto nella mia testa”

Ho accompagnato mia figlia a fare il vaccino previsto per i sei anni. Qualche giorno prima le avevo anticipato che sarebbe stata un’iniezione sul braccio. La sua reazione è stata normale dal “Non voglio farlo”, “Non voglio venire” a “Quando sono lì scappo”. A nessuno fa piacere farsi fare una puntura. Ci sono adulti che tremano alla sola idea di farsi prelevare il sangue per un controllo.
Dopo tutte le mie spiegazioni e rassicurazioni, io avevo fatto un vaccino lo scorso anno, siamo arrivati al compromesso che lei avrebbe potuto portare uno dei suoi animaletti, ma uno dei più piccoli, e che io le avrei fatto “le facce buffe” per farla distrarre e sorridere. Inoltre, alcune delle sue amichette che avevano già affrontato il vaccino le avevano detto che se, non avesse pianto, le avrebbero dato un regalino. Così è stato e, prima di uscire, l’infermiera le ha consegnato un “diploma di coraggio”, accolto con pochissimo entusiasmo perché la parola "regalino" le aveva fatto pensare a chissà cosa.  
Mentre aspettavamo di uscire, cercando di valorizzare il suo coraggio, le ho detto: “Vedi che sei stata brava. Non hai pianto, ti hanno dato anche l’attestato di coraggio”.
Con il viso un po’ imbronciato, e con la mano sul braccio dolorante, mi ha risposto “Ho pianto nella mia testa.”
Ho ripensato a quella frase perché molte volte, anche se in buona fede, rischiamo di dare ai nostri figli messaggi sbagliati. Come quello sulla paura e sul coraggio, perché in realtà il coraggio non è il contrario della paura. Se proprio dovessi pensare al contrario della paura, direi incoscienza.   
Ho imparato che il coraggio non è l’assenza di paura, ma il trionfo su di essa. L’uomo coraggioso non è colui che non si sente impaurito, ma colui che vince la paura.” (Nelson Mandela).