venerdì 23 dicembre 2016

Si passa la prima parte della vita a tentare di cambiare il mondo e la seconda parte a cercare di fare in modo che il mondo non cambi noi.

C’è chi dice che si passi la prima parte della vita a cercare di cambiare il mondo e la seconda parte a tentare di fare in modo che il mondo non cambi noi.
Ricordo chiaramente la mia “prima parte”. Dai tempi delle scuole elementari con la prima iniziativa di raccolta fondi per l’Unicef, la tessera del WWF e la conoscenza con un’Associazione dedicata ai “portatori di handicap”, passando agli approfondimenti su attualità e cultura dei tempi di trasmissioni tv, all'epoca unica finestra sul mondo, come Mixer di Gianni Minoli, ad un attenzione ai problemi di Paesi lontani attraverso Associazioni, Riviste e pubblicazioni cosiddette “terzomondiste”.

Certe sensibilità ed interessi derivano un po’ dalla storia personale di ognuno. Difficile, se non impossibile, cercare di riprodurli a tavolino. Sono convinto, comunque, che una certa conoscenza sia necessaria. Ricordo alcuni miei compagni di classe che, al di là dei loro risultati scolastici, erano completamente estranei a quello che succedeva in Italia e nel Mondo.   
Cerco, quindi, di dare spiegazioni a mia figlia su quello che succede al di fuori della sua vita, che molto spesso finisce con la porta di casa o con quella dell’aula della sua classe. Partendo da quello che conosce e che può interpretare. Perché, neanche troppo lontano, ci sono dei bambini che non vivono una vita come la sua. Da tanti punti di vista.
In questo gioca un ruolo molto importante la scuola in termini di apertura e comprensione del mondo. Perché permette di toccare con mano, al di là di tanti discorsi, situazioni diverse dalla propria. Come il bambino che ha bisogno dell’insegnante di sostegno, il bambino con un colore della pelle diverso perché è stato adottato o il bambino che parla poco l’italiano perché viene da un altro Paese.
A casa, parlando, emergono tante richieste di spiegazioni, di possibili paure più o meno inconsce. Ci deve essere il tempo e la voglia di ascoltare i nostri figli, domande dirette o richieste tra le righe, per cercare di farli ragionare, dando loro le nostre spiegazioni della realtà. Non sono chiacchierate che si fanno una volta per sempre perché certi temi vanno elaborati, successivamente affiorano dubbi e nuove domande. Ci sono, poi, diversi gradi di approfondimento e comprensione legati all'età. Alcune volte i bambini affrontano problemi gravi con estrema leggerezza per poi dedicare la massima serietà a quanto di più leggero ci sia. Così può capitare che per alcuni giorni mia figlia torni a parlare della guerra, riprendendo un discorso di tempo prima, capendone la gravità per poi liquidare frettolosamente e superficialmente chi non ha il cibo dicendo che gli darà le verdure perché non vuole mangiarle lei. Si sa, sono bambini. 
Personalmente credo molto nell'idea dei semi piantati. Vale sempre la pena di farlo, magari non tutti, ma sicuramente qualcuno germoglierà. Perché non possiamo pensare di lasciare i nostri figli al di fuori del mondo perché il mondo, prima o poi, verrà a bussare alla loro porta.

C’è chi dice che si passi la prima parte della vita a cercare di cambiare il mondo e la seconda parte a tentare di fare in modo che il mondo non cambi noi.
Io penso che, in realtà, chi ha pensato almeno una volta di cambiare il mondo non abbandonerà mai quella speranza e, in fondo in fondo, per quanto piccolo sia il suo contributo tenterà sempre di farlo.