E’ inevitabile che casa e asilo si contaminino
a vicenda. Sono mondi che in alcuni casi si sovrappongono, in altri addirittura
si contrappongono e in altri ancora rimangono del tutto separati.
Gli echi dell’asilo arrivano fino a casa attraverso
racconti, più numerosi rispetto all’anno scorso, o semplicemente con espressioni,
modi di dire e, per la prima volta, anche con una parolaccia.
Mi piace ascoltarla quando racconta piccoli
scampoli della sua giornata mentre ceniamo. E’ un modo per condividere
esperienze durante le quali noi non ci siamo. Serve anche per dare il nostro
punto di vista a posteriori su avvenimenti ai quali non abbiamo assistito.
Scopriamo “chi ha spinto chi”, “chi ha preso il
gioco di chi”, “chi è stato rimproverato dalla maestra”, “chi ha pianto”.
Sentiamo frasi nuove che in alcuni casi facciamo
anche nostre. Come “Buon appetito, piatto pulito” prima di iniziare a mangiare.
Sorridiamo per quel “Fermo immobile” come se si
potesse stare fermi muovendosi. Ma quel rafforzativo “immobile” serve perché,
si sa, con i bambini tutto è possibile anche stare fermi muovendosi.
Noi ascoltiamo volentieri gli echi dell’asilo…
chissà quali saranno quelli che arrivano da casa nostra…
Mia figlia ha abbinato al "presente" due non meglio definiti stati futuri: “un altro
giorno” e “quando sono grande”. Con una sua personale coerenza riesce a classificare in uno di questi tre stati qualsiasi sua
azione o desiderio. Cercando di interpretarla, direi che valgono le seguenti regole:
Il "presente" è il suo stato preferito in assoluto e corrisponde al "tutto e subito".
Ad esempio: “Voglio uscire ora”, “Voglio giocare adesso
con quel giocattolo”. Gli altri due stati sono una soluzione di ripiego quando non può fare qualcosa che vorrebbe perché non sa o non riesce a farlo o le è vietato da noi genitori.
Entrando nel dettaglio, se una cosa sa e può farla ma le è stato detto di no viene classificata in “un altro giorno”. Ad esempio
di fronte al rifiuto di comprare un giocattolo appena visto in un negozio “Lo compro un altro giorno”. Se una cosa non sa o non può farla perché non adatta alla sua età viene classificata
in “quando sarò grande”. Ad esempio, ultimamente, “Quando sono grande guido io la macchina”, “Quando sono grande cucino io”, "Quando sono grande imparo a fischiare".
Ultimamente
mia figlia ha riscoperto un pupazzetto carillon, un topino, da portare
nel suo lettino
per addormentarsi. E’ stato in assoluto il primo regalo, lo comprai in
farmacia il giorno in cui lei e la mamma arrivarono a casa
dall’ospedale. Ricordo che lo portai a casa, lo legai alla culla e feci
partire la musica chissà con quali aspettative. Lei non
dimostrò di gradire molto quel suono e il topino rimase come pupazzetto
perdendo la sua funzione principale.
Nonostante l’avesse avuto sotto gli occhi tutto questo tempo, per chissà quale strana alchimia,
recentemente è sbocciato l’amore.
Lo cerca, lo accarezza e da qualche settimana lo tiene vicino al cuscino e tira la cordicina
tante volte prima di addormentarsi. Chi, mamma o babbo, è
vicino al suo lettino prima della nanna riceve il prezioso dono del
topino con il compito di far ripartire la musica.
Così ieri sera, alla quarta o quinta volta che facevo partire la musica e pensando che ormai
si fosse addormentata, ho appoggiato il topino sul lettino per lasciare la stanza.
D’improvviso, senza neanche girarsi, con tono irritato mia figlia mi ha rimproverato: “Babbo,
è finita la musica!”
“Va bene, adesso la faccio ripartire” ho risposto.
Con l'inizio di settembre nelle chiacchiere tra genitori spunta un nuovo argomento: i corsi da far frequentare ai propri figli. Non solo per i bambini delle elementari ma addirittura per chi è al nido o all'asilo.
Nelle conversazioni non manca mai il riferimento alla lingua inglese. Anche chi riesce a malfatica ad azzeccare un congiuntivo in italiano o chi si ferma al "My name is", elenca i benefici dell'insegnamento sin dalla più tenera età. Come per dire "Se me l'avessero fatto studiare a me all'asilo, ora farei l'interprete".
A far odiare l'inglese a mia figlia ci ha pensato la Peppa. Pensare di far vedere tre volte di fila uno stesso episodio mi sembra che sia un metodo "educativo" un po' da Arancia Meccanica.
Per non parlare di chi non può far mancare anche qualche ora di sport in quanto favorisce il coordinamento e la disciplina.
Così le agende dei bambini si infittiscono di impegni tali che per stare a casa con i genitori ci vuole quasi un appuntamento da pianificare con largo anticipo.
Lo canta anche la protagonista de "Le tagliatelle di Nonna Pina": "... invece oltre la scuola cento cose devo far, Inglese, pallavolo e perfino latin-dance e a fine settimana non ne posso proprio più..."
Molto spesso i nostri figli hanno un'idea della natura che deriva principalmente dai cartoni animati. Dove gli animali sono antropoformi, stanno in posizione eretta, sono carini, hanno un aspetto curato e pulito. Non si sentono gli odori dalla televisione ma qualcuno potrebbe immaginare che siano anche profumati.
Così, per quanto possibile, cerco di fare aver a mia figlia un contatto il più possibile diretto con la natura.
In questa estate piovosa, ad esempio, quando smetteva di piovere e i giochi del parco erano bagnati coglievamo l'occasione di una passeggiata per andare a vedere le chiocciole.
A quell'età tutto è una scoperta. E poi i bambini sembrano avere un'attrazione particolare per gli animali.
Nelle fiere di paese succede spesso di riuscire a vedere da vicino gli animali delle fattoria. Non c'è bisogno di specie esotiche per incuriosire un bambino. Basta un pulcino.
L'entusiasmo di mia figlia è passato velocemente dalle stelle alle stalle, è proprio il caso di dirlo, quando ha sperimentato in prima persona che i maiali puzzano. Li guardava tappandosi il naso con le dita. Eh sì, sono maiali veri, non sono Peppa e George!
L'esperienza sul campo favorisce l'attenzione e la curiosità porta a fare decine di domande.
"Perché gli asini hanno la coda?"
"Perché le mosche stanno sulle mucche?"
"Dov'è il babbo di quel pulcino?"
Ricordo che lo scorso anno nel periodo di Natale siamo andati a fare un giro e abbiamo deciso di visitare uno zoo che c'era da quelle parti.
Dopo pochi metri dall'entrata c'era una renna in un recinto.
Mia figlia mi ha guardato e mi ha chiesto "Babbo, perché la renna di Babbo Natale è rinchiusa?"
“La vecchiaia è una brutta cosa.” Me lo diceva mia nonna con quel tono un
po’ irriverente, ironico e dissacrante che si respira in alcune parti della
Toscana, dove si impara sin da piccoli il gusto della battuta. Dove si
apprende, solo per il fatto di stare con gli altri, che si può parlare di
qualsiasi argomento anche a costo di apparire un po’ cinici. Nessuno si salva,
né fanti né santi.
Così anche io quando i miei genitori si lamentano dell’età che avanza dico
loro che l’alternativa è sicuramente peggiore. Chissà, forse è un solo modo per
esorcizzare.
C’è chi dice che non si possa ragionare sulle cose senza averle vissute
veramente. E che, quindi, non si possa parlare della vecchiaia senza averne provato gli acciacchi e le sensazioni sia fisiche che psicologiche.
Allo stesso modo, probabilmente è inutile da genitore tentare di ragionare
da nonno anche se, secondo me, ognuno si porta dietro negli anni e nella vita
le proprie caratteristiche.
Ma, come dicevo prima, per il mio essere "bastian contrario" non posso non rilevare comportamenti che mi appaiono così estranei.
I nonni hanno bisogno di un contatto fisico. Ti devono dare e avere un bacio, non
basta il gesto. No, ci vuole il bacio sulla guancia.
Come nella scherma, se non c’è il tocco, non c’è il punto nella graduatoria dell'affetto. Ti devono dare una
carezza sulla testa. Fortunatamente non siamo in oriente dove non si deve mai toccare la testa dei bambini. Chissà se questa fisicità è collegata agli anni
che passano. Ma, nel caso dei bambini, è come provare a chiudere l’acqua in un
pugno, non si trattiene. I bambini sono su un treno che parte mentre noi siamo fermi alla
stazione, non c’è niente da fare. I nonni "aspettano la telefonata". Devono sentire la voce al telefono e impostare una telefonata come se stessero parlando con un adulto. Neanche il tempo di una risposta che già sono alla domanda successiva. Inutile che un bambino sia ancora troppo piccolo per collegare una vocetta che esce da un pezzo di plastica a uno dei nonni.
Ai nonni non basta “Un gettone per le giostre e poi basta”. Se sono di più
è meglio. Lo sanno anche loro che l’affetto non si moltiplica
per il numero di gettoni ma tant'é. Comunque non si sa mai, magari ci sono leggi
del cuore che ancora non conosciamo.
I nonni ti devono dare un bocconcino dal loro piatto. Indipendentemente dal
fatto che il cibo sia lo stesso di quello che sta mangiando il nipote o sia
qualcosa assolutamente da adulto, tanto è un solo un pezzettino. Neanche
stessero dando un bicchiere d’acqua a un disperso nel deserto salvandogli la
vita. I nonni hanno tutto il tempo e la pazienza che non hanno voluto avere da genitori.
Ovviamente non tutti i nonni, ma tanti. Ne potrei scrivere chissà quante altre ma, come dicevo prima, c’è chi dice che non si possa
ragionare sulle cose senza averle vissute veramente. Che siamo tutti destinati
ad assumere, e io per primo, quei comportamenti che ho stigmatizzato poco sopra.