Qualche sera fa a cena a casa di amici parlando del rapporto tra social e figli scopro che il padre di una bambina delle elementari ha aperto una partita iva per gestire il canale youtube della figlia, immagino sia necessario per gestire i proventi di pubblicità e collaborazioni.
E’ un po’ che questa idea mi gira per la testa vedendo
profili instagram o facebook con foto di figli sorridenti che provano questo o
quel prodotto lodandone le qualità. L’idea, e me ne scuso in anticipo con Marx,
è che come in un nuovo proletariato post-industriale, che definirei “proletariato
social”, i genitori si rendono conto della ricchezza potenziale che
possiedono avendo figli. Così, neanche il tempo di riprendersi dalle prime
di ore di mancato sonno, realizzano che mettendo in primo piano il bel faccione
- ogni scarrafone è bell’a mamma soja - della propria prole possono ottenere
qualcosa in cambio, e senza alcuno sforzo particolare, come buoni sconto (facilissimo),
prodotti gratuiti (facile) per arrivare a veri e propri soldi (più difficile).
I nostri figli, lavoratori in erba alla faccia della tanto decantata privacy, iniziano presto ad abituarsi all’idea di dover contribuire all’andamento della famiglia, magari fatto di bei viaggi in family hotel ai quali non negheremo una bella recensione in un post dedicato, visto che sicuramente saranno loro, in futuro, a dover pensare alle nostre pensioni.
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