Qualche giorno fa, parlando a cena con mia figlia dei suoi
allenamenti di pallavolo, ci raccontava che qualche sua compagna si lamentava dei
rimproveri dell’allenatrice.
A volte mi chiedo cosa sia successo tra la mia
generazione e la sua, siamo passati non dico ad un’assenza ma sicuramente ad un’attenzione
veramente leggera ad una focalizzazione estrema su qualunque cosa riguardi i
bambini. Cosa viene detto loro, dalle parole usate al tono, i giochi che fanno,
i programmi che guardano alla televisione, i libri che leggono o che dovrebbero
leggere e chi più ne ha più ne metta.
Rispetto a loro, noi possiamo considerarci quasi dei
sopravvissuti, siamo riusciti a diventare adulti nonostante tutto. Partendo
addirittura dai cartoni animati che trasmetteva la tv.
Per chi era una bambina
negli anni ottanta e praticava pallavolo vedeva che le proprie eroine si allenavano
come quasi fossero dei marines americani. Chi non si ricorda il famigerato
allenamento di Mimi con le catene ai polsi o le tante pallonate prese in allenamento?
In confronto a quei modelli, una sgridata non ci faceva alcun effetto. I nostri
genitori non sapevano neanche cosa succedesse nei cartoni animati che guardavamo
in tv, se passavano alla televisione dovevano essere adatti a dei bambini per
definizione, e se ci lamentavamo che l’allenatore ci aveva sgridato ci rispondevano
di getto che aveva fatto bene e che voleva dire che non lo stavamo ad
ascoltare.
Adesso siamo accanto a loro mentre guardano la tv e ci domandiamo se
quello che dice o fa Peppa Pig possa avere chissà quale messaggio fuorviante o se
e come possa influenzare il loro sviluppo. Per non parlare di insegnanti e/o
allenatori il cui comportamento in classe ed insegnamenti vivisezioniamo
quotidianamente per cercare di capirne gli impatti sulla psicologia e sull’apprendimento
dei nostri figli.
Dovremmo fare tutti un po’ di sana autocritica perché non
vorrei che tra una ventina di anni qualche pensionato volesse andare a parlare con il capoufficio del
figlio ormai quarantenne perché ritiene che non valorizzi le sue capacità sul
posto di lavoro.