Le
guerre non le decidono i popoli ma chi li governa.
Ci
sono due modi attraverso i quali la guerra può entrare nelle nostre vite.
Il
primo è quello classico ed è vivere sotto i bombardamenti e l’Europa l’ha
vissuto nel novecento.
Oggi
i popoli dei governi che decidono le guerre contro altri Paesi, più o meno
lontani, ne sentono solo gli echi, attraverso foto e filmati trasmessi in tv o
su internet. Si schierano da una o dall’altra parte ma non ne sono coinvolti
direttamente, non entrano nel merito delle decisioni, non fanno sentire la loro
voce perché la sentono come qualcosa che non li tocca direttamente.
Ricordo
da ragazzo le mie prime immagini di guerra in diretta tv, era la cosiddetta “guerra
del Golfo” che mandava in pezzi la nostra innocenza televisiva di quegli anni.
Da allora sarebbe cambiato tutto e avremmo fatto l’abitudine a cenare avendo di
fronte scene di bombardamenti, carri armati, morte e distruzione da qualsiasi
parte del mondo.
Ma
c’è anche un secondo modo, uno nuovo, per far
entrare la guerra nelle nostre vite lontane dai conflitti veri e propri: il
terrorismo.
Non
servono giri di parole, il terrorismo è la
guerra. E’ la versione della guerra per i popoli che sono lontani dai
bombardamenti ufficiali.
Credo
che sia proprio arrivato il momento, adesso che i popoli dei governi
che decidono di fare la guerra sono coinvolti direttamente, di iniziare a
ripensare alle decisioni prese, ad approfondire le motivazioni e le modalità.
E’
sempre stato così, e la storia lo dimostra.
Basta
pensare al grande movimento pacifista americano contro la Guerra del Vietnam, mosso,
tra le altre cose, dall’obbligatorietà del servizio militare a causa della
quale le famiglie vedevano andare a morire dall’altra parte del mondo i propri
padri, figli, amici e fratelli. E’ bastato far diventare l’esercito una
professione vera e propria per farci disinteressare di quello che non
ci può toccare direttamente la vita.
Almeno fino ad adesso.
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