Con il
congedo obbligatorio di paternità di 15 giorni, al momento in discussione
in Parlamento, il nostro Paese potrebbe fare un piccolo passo dal grande valore
che lo avvierebbe nel percorso verso le parti opportunità, il bilanciamento dei
carichi familiari tra uomini e donne, e la diminuzione delle disparità di genere
sul lavoro. Ho sempre pensato, infatti, che favorire la partecipazione alla
vita familiare degli uomini sia uno degli elementi fondamentali per consentire,
allo stesso tempo, di agevolare la presenza, e la permanenza, delle donne nel mondo del lavoro.
Tra l’altro c’è un nuovo elemento da non
sottovalutare, sono gli uomini, se non tutti ma tanti, che lo chiedono anche se i dati dimostrano che adesso gli strumenti a disposizione
dei padri per il congedo parentale sono poco utilizzati. Un'apparente contraddizione che può essere spiegata dalle attuali caratteristiche del congedo parentale.
Quali sono gli elementi che possono favorire una maggiore partecipazione dei papà?
Il primo è sicuramente l’obbligatorietà del congedo di paternità. L’obbligatorietà è
necessaria quando c’è da difendere chi si trova in una posizione di debolezza e
consente di non essere discriminato. L’esempio principale sono le donne che negli
ultimi mesi di gravidanza e dopo il parto hanno un periodo “protetto” a garanzia della salute, loro e di quella del bambino. Per i papà, l'obbligatorietà potrebbe servire per rompere quella tradizione secolare nel nostro Paese per la quale le aziende e la società li vedono dedicarsi essenzialmente al lavoro.
I 15 giorni obbligatori per i papà
permetterebbero di non subire condizionamenti lavorativi e consentirebbero, fin
dalla nascita, di essere di supporto alle proprie compagne e di avviare sin da subito il
proprio rapporto con i figli.
Personalmente, avevo 3 giorni previsti dal
mio contratto lavorativo in caso di nascita di un figlio. Molto utili ma giusto
per il tempo dell’ospedale. A questi ho aggiunto due settimane di ferie, già pianificate
per il periodo di fine gravidanza. Molti dei padri che conosco hanno usato
questo metodo: dedicare parte delle ferie per il periodo post parto. Probabilmente
questo elemento sfugge agli studi sull’uso degli strumenti a disposizione dei
padri.
Per quanto riguarda il congedo parentale, per
favorirne l’utilizzo da parte dei padri è necessario che questo sia esclusivo e retribuito.
L’esclusività
del periodo, che non può essere utilizzato dalle madri, è un incentivo
per i papà, e in generale per la famiglia, perché altrimenti andrebbe perduto.
Il
vero elemento cruciale è determinato, però, dal livello di retribuzione garantito.
Credo che in tutte le famiglie si faccia il conto per capire per chi sia più
conveniente prolungare il congedo. Considerando che, generalmente, la
retribuzione delle madri è più bassa di quella dei padri, molto spesso si sceglie che
rimanga a casa la mamma.
Un ultimo elemento è la flessibilità del congedo, dato ad esempio dal part-time, che
permetterebbe ai papà e alle mamme di mantenere un legame con il proprio lavoro. Personalmente
trovo questo elemento molto interessante, ad esempio io mi sono occupato dell’inserimento
al nido, che non richiedeva il mio impegno per tutta la giornata,
attraverso dei permessi ad ore retribuiti, anche se non specifici per i figli. La
flessibilità potrebbe essere utilizzata sia per unire il coinvolgimento di entrambi i
genitori, in momenti diversi della giornata, che combinando la presenza a casa dei papà con l'uso di strutture dedicate all'infanzia, esempio
unendo nido e congedo a metà giornata.
Riflessioni assolutamente condivisibili. Peccato che il buon senso sembri spesso mancare nei nostri politici...
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