Fino
a quel momento non mi ero reso conto che ci sono parole che
d'improvviso svaniscono dalla nostra vita. Parole che ci hanno
accompagnato per tanti anni, che sembravano normali, che facevano
parte della nostra quotidianità ma che, di punto in bianco, non
torneremo più a pronunciare.
Una
delle prime parole che ho imparato a dire e che, nel corso della mia
vita, avrò pronunciato sotto tante sfumature, come in quegli
esercizi che fanno nelle scuole di teatro per insegnare agli attori
l'importanza dell'intonazione. Con amore, con tenerezza, con rabbia,
con rancore, con delusione, con gratitudine, sottovoce, urlando, per
chiedere, per ringraziare, per presentare, ridendo o piangendo.
Una
parola che si abbinava a tante altre esclamazioni, quasi un
rafforzativo: “Oh babbo!”, “Ma babbo!”, perfino “Che palle,
babbo!”.
Adesso,
che ne sono stato privato io, non posso che lasciarla come
prerogativa di mia figlia.
Grazie per questa condivisione.
RispondiEliminaSono anni oramai che non pronuncio più quella parola ("babbo" per te, "papà" per me). Sono anni oramai che quella parola risuona solo nella mia testa, arriva come un ricordo lontano, la sento come una radice profonda, incisa nella mia storia di bambina, di ragazza, di donna. Grazie per avermi aiutato a sentirne la mancanza, oggi mi sento un po' così, allineata e piacevolmente persa nel mio dolore di figlia, in questa domenica di novembre fredda e malinconica alla ricerca "del mio tempo perduto".