domenica 30 settembre 2012

La teoria sulle bizze funziona veramente! Anche se applicata ad un calzino...


La bizza è sempre in agguato dietro l’angolo. Non si può mai stare tranquilli, basta poco. La fine di un gioco, la vista di un oggetto che non si può prendere o mettersi le scarpe per uscire a giocare. Anche se un attimo prima tutto fila liscio e ci si sta divertendo. La bizza arriva, improvvisa. Avevo già scritto un post sulle bizze ma ero ancora nella fase della teoria.
Adesso che vivo praticamente nel pieno delle bizze, le cose cambiano. Non sempre si riesce ad affrontarle nel modo giusto. Perché entrano in gioco altri fattori, anche emotivi. Perché se è vero che la calma porta calma lo è altrettanto che la rabbia porta rabbia. Così molte volte ci facciamo influenzare dai comportamenti dei nostri figli.
 
L’altra sera è successo qualcosa di quasi straordinario, da manuale. Ero in salotto dopo aver cenato e stavo giocando con mia figlia quando ad un certo punto si è seduta per terra per togliersi i calzini antiscivolo. Io ero in piedi e mi sono abbassato per dirle di non toglierli. Lei li tirava con tutte le forze e non accennava a smettere. Ho ripetuto di non toglierli provando anche ad allontanarle le mani dai calzini. Ma lei niente. Probabilmente in altri momenti avrei iniziato con lei un’azione di forza, che dato il mio essere adulto mi avrebbe visto favorito, come rimetterle a posto il calzino o alzare la voce per ribadire il concetto. Quella volta è andata diversamente. Le ho detto che non doveva stare senza calzini, uno nel frattempo era sul pavimento, perché altrimenti avremmo smesso di giocare e le ho fatto vedere che io non ero a piedi nudi. Le ho ripetuto la cosa e sono andato a sedermi sul divano.
Lei è rimasta seduta per terra qualche minuto. Con uno sguardo terribile. Io facevo finta di niente ma la sbirciavo.
Magicamente, dopo qualche minuto, si è alzata, ha ripreso il calzino per terra e tranquillamente si è avvicinata a me per farselo rimettere e per continuare a giocare.
Non ci potevo credere. Dentro di me ho pensato “Tutto qui? Ma allora è facilissimo!”
 
Invece so già che non sarà per niente facile e non voglio cantare vittoria ben sapendo che il percorso sarà lungo. E né per lei né per me sarà sempre così facile superare le sue bizze.

mercoledì 26 settembre 2012

Incroci di vite


Solo qualche ora prima in visita all’ospedale, nei reparti dove sembra che la morte riposi nelle sedie vuote delle stanze o passeggi silenziosa nei corridoi. Sicuramente è nei pensieri di molti, dei pazienti e di chi fa loro visita. Esci ma qualcosa ti rimane appiccicato nella mente ancora per un po’. Come quelle macchie di pennarello sulle mani, che non si lavano via subito ma rimangono qualche giorno sbiadendo via via lavaggio dopo lavaggio.
 
Poi cogliamo l’occasione di una bella giornata di sole, quasi un regalo dell’estate appena passata, per accontentare le richieste di “MA’E… MA’E” di nostra figlia. Mi ritrovo seduto sulla spiaggia a guardarla correre sulla riva del mare, dare calci alle piccole onde che si infrangono a riva per fare degli schizzi nell’acqua. Ho ancora le macchie di pennarello sulle mani. Guardo il suo sorriso e i suoi occhi pieni di gioia che cercano i miei e quelli della mamma.  Sono contento di poterli nascondere dietro un paio di occhiali da sole, che lei sia ancora così piccola, e così lontana da questi pensieri, da non doverle dare spiegazioni o rispondere a qualche sua domanda. 
 
Incroci di vite in momenti così diversi, quasi da creare un cortocircuito nella mente e nel cuore di chi assiste.
 
 

domenica 23 settembre 2012

“Staccato dentro”



Partecipo volentieri all'iniziativa di Luana del blog LA STACCATA che ha papizzato, o babbizzato, l'iniziativa “Staccate vs Taccate creando “Sono un papà staccato”.
Visto che tutto era nato nel mondo femminile della mamme, innanzitutto ho cercato di ragionare su cosa potesse significare per un papà essere “taccato” o meno. Subito la mia mente, forse predisposta geneticamente da un dna sviluppato nel vernacolo toscano, è andata all'immagine di un ex premier bassino con scarpe con i tacchi, forse nascosti. Ho scosso più volte la testa per allontanare quell'immagine e ho cercato di andare avanti con la mia riflessione.
 
Forse le mamme “taccate” sono quelle sempre elegante, con i tacchi appunti, che sembrano essere appena scese da una passerella di moda anche quando accompagnano il figlio al nido la mattina presto. Forse le mamme “staccate” sono quelle più casual con scarpe basse e comode, non per questo meno eleganti.
Scopro subito le carte svelando le mie preferenze sul tema. Io mi sono innamorato di una donna, adesso mia moglie, con la quale potevo tranquillamente passare da una cena a lume di candela in un ristorante chic (in versione “taccata”) a mangiare un panino nel mezzo di una gita in tuta da ginnastica (in versione “staccata”) o a un viaggio dall'altra parte del mondo con un bagaglio che prevedeva solo cose comode e leggere perché c'era parecchio da camminare.
 
Allora ho cercato di traslare questo ragionamento nel mio mondo e, in generale nel mondo dei babbi. Concordo con quanto scritto da altri papà “staccati” che, forse, l'equivalente maschile di "taccato" può essere il vestirsi in giacca e cravatta. Anche se, forse, è da intendere secondo me nel senso di “papà sempre in ordine”.
Vestirsi in “giacca e cravatta”, usato anche come modo di dire, porta con sé alcune strane peculiarità che in questi anni ho avuto occasione di notare.
Per alcuni lavori “giacca e cravatta” è solo una specie di uniforme. Nonostante questo la gente pensa che tu possa vivere 24h su 24, tutti i giorni dell'anno vestito in quel modo. Non succede in nessun altro caso. Se vediamo un meccanico in tuta da lavoro blu, o un panettiere vestito di bianco, non ci aspettiamo certo di trovarlo così mentre passeggia per strada il sabato con la famiglia. Eppure c'è sempre qualcuno che si meraviglia quando ti incontra durante il fine settimana in jeans e con la barba lunga.
Alcuni vivono ancora il fascino e il rispetto dell'uomo in “giacca e cravatta”. Se accompagni tua figlia da qualche parte, magari le prime volte quando ancora non ti conosco tutti quelli che ci lavorano, se sei appena uscito da lavoro e ancora vesti in “giacca e cravatta” ti guardano in un modo diverso da quando la porti un giorno che sei in ferie e indossi una tuta da ginnastica. 
 
Lo dico perché sono cose che mi accadono. Sono convinto che non si possa essere padri “in giacca e cravatta” con i propri figli, nel senso di persone rigide e attente all'esteriorità.
Quando porto mia figlia al nido prima di andare in ufficio può succedere che, quando la prendo in braccio, mi sbricioli i biscotti sulla giacca. D'inverno, invece, di solito sulla spalla c'è il “moccio” del naso che cola nonostante il fazzoletto appena usato.
Ricordo con tenerezza che un pomeriggio d'estate ero andato a prendere mia figlia al nido. Lei stava giocando in giardino con la terra. Quando mi ha visto arrivare da lontano mi è corsa incontro a braccia aperte. Una delle maestre che era venuta ad aprirmi il cancello, probabilmente vedendomi vestito così, mi ha avvertito “Stia attento che la sporca, giocavano con la terra.” Io le ho fatto un sorriso come per dirle che niente al mondo mi avrebbe impedito di abbracciare mia figlia e prenderla in braccia.
Quindi, potrà capitare che mi vediate con delle briciole sulla giacca, di solito le tolgo non preoccupatevi, o che mi sia dimenticato in tasca qualche biscotto chiuso in un pezzo di carta. Che mi vediate nel parco vicino casa in tuta, o pantaloni corti, giocare a palla con mia figlia o spingerla sull'altalena. O più elegante andare a cena fuori un sabato sera tutti e tre insieme.  
Sono sempre io. Perché per me l'importante è essere “staccato dentro”.

martedì 18 settembre 2012

La “gag del ciuccio” mi strappa sempre un sorriso anche in piena notte.



Almeno una volta a notte, durante l’estate succedeva molto più spesso, mia figlia si sveglia per la sete e ci chiama per bere. Di solito la troviamo seduta nel lettino che, con il ciuccio in bocca, chiede “Acqua, acqua…”
Da qualche settimana ha iniziato a fare una specie di gag. Quando le porgo la bottiglietta dell’acqua, la prende e se la porta alla bocca sbattendo contro il ciuccio, ben sapendo di averlo ancora in bocca, come se volesse intendere “Come sono distratta, ho ancora il ciuccio in bocca!”. Poi mi guarda con un mezzo sorriso dicendo “Il ciuccio, ah ah ah”. Se lo toglie da sola ed inizia a bere.
Ormai sono affezionato a questo rituale notturno dell’acqua, che in famiglia abbiamo chiamato “la gag del ciucco”, tanto che mi fa alzare di buon umore anche nel cuore della notte e riesce sempre a strapparmi un sorriso nonostante il sonno. 

mercoledì 12 settembre 2012

Perché Eros Ramazzotti è un papà mentre Bruce Willis fa il "mammo"?


Il post "Ancora mammodel sempre interessante blog Cosmic Mummy, al quale ho lasciato un mio commento, prende spunto da un trafiletto di IO Donna (il Femminile del Corriere della Sera) dal titolo David Beckham, ''mammo'' in cravatta.
Non voglio ripetere qui quanto già scritto nel post indicato e nel mio commento in merito all'uso dell'orribile parola "mammo", che non fa che "femminilizzare" un papà che si occupa dei propri figli come se "fare il padre" volesse dire fare altro.
Questo post nasce quasi per caso. Scorrendo la pagina on line di IO Donna mi è caduto l'occhio su un particolare molto interessante. Forse ho l'occhio allenato da anni di La Settimana Enigmistica ma mi hanno colpito immediatamente le foto collegate ai seguenti articoli ed i relativi titoli:
Perché Eros Ramazzotti è un papà mentre Bruce Willis fa il "mammo"?
Se un padre è da solo con i propri figli fa il "mammo" mentre se va in giro con la compagna ma è lei si occupa dei figli, in entrambi i casi si tratta solo di spingere un passeggino, è un papà?
Vorrei girare questa domanda a IO Donna per avere una risposta...

lunedì 10 settembre 2012

l puzzle, mia figlia ed il buddismo.

Qualche settimana fa ho preso per mia figlia un piccolo libro che ha un puzzle in ogni pagina, per un totale di sei puzzle di sei pezzi ciascuno. All’inizio ero poco convinto della scelta perché non sapevo se fosse adatto alla sua età e, soprattutto, se le sarebbe piaciuto.
Il puzzle si è rivelato, con mia grande sorpresa e altrettanto piacere, un gioco graditissimo. Così tanto gradito che la sera dopo cena ormai è un appuntamento irrinunciabile giocare con i puzzle. Considerando che si tratta di puzzle di sei pezzi, passiamo il tempo a costruirli più o meno velocemente per poi ridividere le tessere e passare ad un nuovo incastro. Lo stesso puzzle viene unito e diviso decine di volte. Se chiudo gli occhi vedo le immagini dei puzzle che mi girano intorno.
Per noi adulti, abituati ad un ben maggiore numero di pezzi, il puzzle ha una finalità precisa: finirlo. Sembra che ci sia qualcosa di innaturale nel disfarlo non appena finito per poi ricomporlo di nuovo.       
Mi sono venuti in mente i mandala orientali ovvero quegli disegni, belli e colorati, costruiti pazientemente con la sabbia dai monaci buddisti. Dopo ore ed ore dedicate alla costruzione del disegno, il mandala viene distrutto con un gesto spazzando via la sabbia. Forse, per una mente razionale occidentale, la cosa più naturale da fare sarebbe quella di appenderlo alla parete non appena finito. Probabilmente mia figlia, come tutti i bambini, ha ancora una mente libera da qualsiasi scopo prestabilito e per lei il divertimento è nel gioco stesso più che nell’obiettivo di costruire il puzzle.

martedì 4 settembre 2012

Avere figli sta diventando un lusso?


Di solito per chi ha i figli piccoli settembre rappresenta un mese particolare perché coincide con l’inizio del nido, della scuola materna o delle elementari. Con tutto quello che questo comporta.
Il primo scoglio da affrontare è il nido perché bisogna sperare di entrare nelle graduatorie di quelli comunali. In alcuni casi si aspetta l’uscita dei risultati quasi come l’estrazione dei numeri vincenti della lotteria. Anche perché, di solito, la differenza di costo tra nidi comunali e privati non è per niente insignificante.
Poi c’è da affrontare il periodo dell’inserimento, i figli non sono dei pacchi che puoi lasciare su uno scaffale, e quindi è necessario un po' di tempo per ambientarsi. Tra ferie, permessi e babysitter si riesce a superare anche questo momento così delicato. Non è ancora finita. Perché bisogna conciliare gli orari del nido che, in alcuni casi, sembrano veramente incompatibili con gli orari di un lavoro “normale”.        
Io mi fermo qui perché la mia esperienza per il momento è arrivata al nido.
Ma vedo intorno a me disperazione. Sembra una parola esagerata ma per alcuni è così. Una mia conoscente non è rientrata nella graduatoria del nido comunale. La possiamo chiamare sfortuna ma è successo. Adesso cosa fare? Il nido privato è un po’ “caro” e l’orario di chiusura è difficilmente conciliabile con il lavoro dei genitori. Bisognerebbe avere il cosiddetto “prolungamento”, anche di una sola ora. Pagando si riesce ad ottenere tutto. Questa famiglia abita lontana da casa per lavoro. I nonni non possono aiutarli. Diciamo la verità, i nonni rappresentano una grande risorsa per la crescita dei nipoti ma molte volte si ricorre ai nonni, in modo esagerato, perché presentano il grande vantaggio di essere “gratis”.
Mi chiedo se avere figli stia diventano un lusso. Non per viziarli ma proprio per decidere di avere figli o, in particolare, per decidere di non fermarsi al primo. In molti casi l’unica alternativa possibile per far crescere la famiglia è la decisione di uno dei genitori di abbandonare il mondo del lavoro o di rimanerne ai margini. 
Me lo chiedo perché molto spesso sento dire che “non ci possiamo permettere” un figlio o un altro figlio. Detto da gente che si accontenta di poco ma che deve affrontare la realtà dei problemi di tutti i giorni.   
Me lo chiedo perché da un lato vedo una certa ostentazione nell’avere figli da gente che poi scopro avere mille agevolazioni, da un altro perché vedo che l’Italia sta diventando sempre più una società di single, di famiglie senza figli o di figli unici, con tutte le problematiche che questo comporta.