Leggendo
il libro appena uscito “Contro i cattivi funziona” non ho
potuto non trovare un forte collegamento con le riflessioni che avevo
fatto sul tema di giugno di GenitoriCrescono su “Fare gruppo. Appartenere” al quale non avevo trovato il tempo di partecipare nonostante anche
Marzia di L'ascia sull'uscio mi avesse invitato a farlo in seguito a
un mio commento ad un suo post . Visto che erano cose che
ultimamente mi frullavano in testa, che in verità mi frullano in
testa da tanti anni, e che vorrei costituissero una delle principali
riflessioni da portare avanti con mia figlia, ho deciso di iniziare a
scrivere questo post.
Il
tema ci riguarda sin da piccoli e ce lo portiamo per tutta la vita,
in quasi tutti i suoi aspetti, paradossalmente sia per gli ambienti
che frequentiamo che per quelli ai quali non apparteremo: quanto
riuscire a sviluppare e far prevalere le nostre caratteristiche, in
poche parole la nostra individualità, rispetto alla voglia di essere
accettati dagli altri e, quindi, di sentirsi parte di un gruppo.
Ogni
individuo è unico, con proprie caratteristiche e peculiarità, ma,
come sappiamo, "l'uomo
è un animale sociale".
Ha bisogno degli altri per prendere consapevolezza di se
stesso, del proprio valore, forse della propria stessa esistenza. E
purtroppo il bisogno può portare a scelte decisamente sbagliate.
Ho
sempre pensato che una persona debba stare bene con se stessa prima
di poter stare in mezzo agli altri. Purtroppo, molte volte, gli
individui cercano di colmare con l'appartenenza a un gruppo la
mancanza di uno scopo personale, come se un obiettivo condiviso
permettesse di dare un senso alla propria individualità.
Questo
perché il gruppo dà forza ai suoi componenti. Il gruppo crea
l'antagonismo, perché il vero senso di appartenenza sta in piedi
solo se c'è il suo contrario, ovvero l'esclusione.
Il
gruppo è un po' come il lato oscuro della Forza. Crea attrazione.
Ci affascina. Perché ci fa sentire parte di qualcosa nel caso in cui
la nostra considerazione di noi stessi non sia poi così elevata. Ci
garantisce popolarità, ancorché ristretta, e amici, o pseudo tali.
Ci fornisce un ruolo nell'ambito di un'organizzazione.
Come
per la Forza, i gruppi non sono negativi in quanto tali ma è bene
sapersi confrontare con essi.
Bisogna
avere una grande forza interiore per potersi confrontare con “il
gruppo” con senso critico, senza perdere di vista quello che si è.
Secondo
me, è questo uno degli elementi che caratterizza un individuo per
essere un adulto, indipendentemente dall'età anagrafica.
Ma
adulti bisogna diventarlo, attraversando molte e difficili fasi della
crescita.
Le
criticità da affrontare deriveranno sia dal passaggio in periodi
particolari, come l'adolescenza, che dal contesto nel quale si
trascorre la propria vita di bambini, ragazzi e adulti.
Un
contesto, almeno quello italiano, sempre più all'insegna del
“nazional-popolare” nel quale i gusti sono pressoché omologati e
qualsiasi allontanamento da “quello che piace a tutti” viene
percepito con diffidenza.
Non
puoi dire di non vedere quel programma alla tv, ad esempio perché
non ti piace o hai altro da fare, perché vieni percepito come
qualcuno che si crede di essere chissà chi. Non sia mai che tu
faccia riferimento a un qualcosa che hai letto che non sia una
rivista sportiva o uno degli ultimi best seller.
Mi
rendo conto che, forse solo nel nostro Paese ma non ho gli elementi
per dirlo, non sono accettate le differenze che potrei definire
“intellettuali”. Sembra che siano percepite dagli altri come
evidenze dei propri deficit. E' veramente molto strano. Sembra
normale sentir dire di aver fatto tardi la sera all'allenamento in
palestra mentre c'è qualcosa che suona stonato quando qualcuno dice
di aver fatto un corso serale.
Lo
percepisco quasi quotidianamente.
Quando
queste esperienze arrivano nella vita di un bambino, perché non
bisogna essere grandi per iniziare a scontrarsi con certe situazioni,
bisogna che gli adulti forniscano gli strumenti necessari per
affrontarle.
Insegnare
a saper dire “no” anche quando gli altri intorno dicono “sì”
o aver il coraggio di affermare il proprio “sì” quando il gruppo
nega con un categorico “no”.
Perché
si inizia da bambini con qualcosa di leggero come esprimere una
preferenza per un gioco per arrivare a cose più serie e importanti
per tutto il corso della propria vita.
Per
gli adulti un avvertimento. Non sono cose che si insegnano “a
tavolino” ma solo quotidianamente con l'esempio.
Direi che hai espresso perfettamente l'idea che io cerco di formarmi guardando mio figlio.
RispondiEliminaNon l'ho mai provato su di me perchè io ero omologata "senza fatica", ossia ero felicemente parte della media dei miei coetanei.
Ma per mio figlio non è così, il peso dell'omologazione è gravosissimo e l'attenzione verso la diversità davvero scarsa. Un bambino che non si adegua ai canoni sociali, che apprende in modo originale, che non trova nel gruppo la sua dimensione di espressione ... è un bambino escluso e la sua famiglia messa sotto analisi. Sono molto arrabbiata per questo, perchè siamo ancora qui a chiederci se e quale tipo di aiuto ci serva per supportare il nostro fantastico bambino fuori "standard".
Grazie Daniele, leggerti mi aiuta davvero tanto ad esplorare pieghe emozionali che non sono parte del mio personale percorso.
Mi fa veramente piacere.
EliminaScrivo di quello che vivo e ho vissuto, questo tema in particolare mi sta davvero a cuore.