giovedì 6 aprile 2017

Il compromesso (tacito) del dialogo con i figli

Mi piace molto vedere crescere mia figlia, poter parlare con lei, affrontare i primi ragionamenti su argomenti da grandi. Su come va il mondo, sulla vita, sui comportamenti delle persone.
Sono contento di questo scambio di vedute, che cerco sempre di spostare il piano del ragionamento. Non “E’ così” o “Si fa così!” ma partendo da un ragionamento, almeno quello che è il mio, per arrivare a delle conclusioni. E’ sempre, per fortuna, uno scambio di vedute. Per quanto piccola, arricchisce quello che cerco di spiegarle, mi incalza con domande quando non sono chiaro o quando non capisce.

Succede spesso, poi, che durante momenti particolari della giornata, prima di andare a dormire, a tavola o mentre la accompagno a scuola, si lasci andare raccontandomi cosa le succede a scuola, come si comportano lei ed i suoi amici, quello che dici e quello che fa. E’ un bel momento perché mi apre una piccola finestra sul suo mondo al quale, altrimenti, non avrei accesso e sul quale non potrei avere parola. Non sono sempre racconti nei quali lei si comporta bene. Quando succede, me li racconta con la consapevolezza di non essere interamente dalla parte della ragione. Magari non si è comportata bene con una compagna di scuola, ha disobbedito alle maestre o ha fatto qualcosa di nascosto.
Penso che in questi momenti di confidenza ci sia una sorta di “compromesso tacito”. Quello di cui hanno bisogno in quel momento sono i nostri riscontri, non i nostri giudizi o le nostre punizioni. Non credo né nel “genitore compagno/amico”, che diventa complice delle marachelle del figlio, né nel “genitore confessore”, che ascolta ed assolve per qualsiasi cosa, né nel “genitore giudice” che individua il reato e stabilisce una punizione.
Secondo me, in tutti i casi verremmo meno al nostro ruolo di genitori, in più, nel secondo, azzereremmo qualsiasi altra possibilità di dialogo in futuro.

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