sabato 22 dicembre 2012

“… e i babbi?”

Qualche sera fa ho partecipato ad una manifestazione a sostegno di iniziative per i bambini dell’Africa. C’era molta gente, quando si dice “solo posti in piedi”, e l’atmosfera era resa ancora più calda dalla presente di diverse classe delle scuole elementari che stavano sedute su un tappeto di cuscini davanti al palco.
Durante la presentazione della serata, la rappresentante dell’Associazione ha illustrato brevemente il progetto affermando che tutto viene fatto “a sostegno delle mamme e dei bambini”.
A quel punto il silenzio della sala è stato interrotto dalla voce di un bambino che ha chiesto “E i babbi?”.
Tutti hanno sorriso. Prima di proseguire il discorso c’è stata la doverosa precisazione “E’ vero. Ci sono anche i babbi, ovviamente.”
 
Che bella la sponaneità dei bambini. Peccato perderne, chi più chi meno, con la crescita.
Non per niente nella fiaba “I vestiti nuovi dell’imperatore” è stato scelto un bambino per smascherare l’imbroglio.
 

lunedì 17 dicembre 2012

I clown di corsia fanno bene non solo ai pazienti.


Ricordi di una mattina in ospedale.
Vedo passare una barella con un bambino accompagnato in sala operatoria dai genitori e da un paio di clown di corsia. Mi si stringe il cuore a vedere quel bambino così piccolo sdraiato sulla barella, coperto da un lenzuolo bianco che lascia fuori solo il viso e una mano per mantenere il contatto con i genitori.  
Noi siamo ancora in dolce attesa, la nostra piccola è ancora nel pancione della sua mamma. Siamo lì per alcuni controlli. Io sono seduto su una sedia della sala d’aspetto, assorto nei miei pensieri cercando di scacciare quelli più brutti.
I clown salutano il bambino e rimangono qualche minuto nella sala d’attesa. Capiscono che il mio umore non è dei migliori, sicuramente per aver sviluppato una particolare sensibilità che fa leggere loro i segni nascosti nei gesti e nelle espressioni degli altri. Le sedie accanto a me sono vuote. Ho scelto proprio quel posto per starmene un po’ da solo.
D’improvviso i due clown si dirigono verso di me, si siedono vicino. Io faccio finta di niente ma loro vogliono coinvolgermi. All’inizio sono un po’ indispettito. “Perché non mi lasciate in pace” penso, ma non voglio dirlo.
Con qualche battuta riescono ad alleggerire l’attesa. Almeno per qualche minuto mi aiutano ad allontanare quei brutti pensieri.
Ricordo ancora con piacere quella breve incursione nella mia vita.
 
Vale la pena interessarsi agli altri anche a costo di passare per scocciatori. Partendo da quelli che ci stanno più vicini, perché alcune volte la vicinanza fisica ci porta a dare per scontato un’attenzione emotiva che non viene percepita. Non fermarsi al primo no, perché magari detto d’impulso senza neanche pensarci. Certo, con tatto e con attenzione perché non sempre si ha a disposizione un naso rosso da clown per rompere il ghiaccio.
 

mercoledì 12 dicembre 2012

BABBOnline ti regala una favola

Leggendo alcune favole alla mia bambina mi è capitato alcune volte di voler cambiare delle parti o addirittura pensare di modificare il finale. Così, invece di criticare le favole altrui, tra l’altro nomi che hanno fatto la storia dei libri per bambini, ho pensato di cimentarmi con la creazione di una mia storia, mettendomi in gioco in prima persona, unendo la mia passione per la scrittura con il mio vecchio amore per il disegno.

Da una recente idea, in un altro momento vi racconterò la genesi, è nata la favola:
CAPELLIBLU”.

Per chi volesse leggerla, la favola è disponibile al seguente link.
Potete scaricarla, stamparla, leggerla a video...

Mi farebbe piacere ricevere successivamente i vostri commenti, in particolare quello che hanno detto i vostri figli, come si è svolta la lettura e se, per quelli più grandicelli, è stata utile per parlare insieme di alcuni temi che emergono dal racconto (non vi anticipo niente).
Potete farlo scrivendo un commento a questo post o inviandomi una mail (
babbonline@gmail.com).
Se qualche bambino apprezzerà particolarmente la favola, potete chiedermi via mail un disegno personalizzato sul personaggio CapelliBlu o su una parte della storia. Sarò contento di inviarvelo.

UN’ANTICIPAZIONE: l’INIZIO della favola.
"Quando venne alla luce, i genitori rimasero qualche minuto a guardarlo in silenzio. Il loro sguardo si era fissato sui folti capelli. Su un particolare preciso, il colore. Il bambino aveva i capelli blu. Ai loro occhi si trattava di una cosa inconcepibile perché tutti avevano capelli neri. Da sempre il nero era l'unico colore di capelli che avessero mai visto. Di qualsiasi tipo: ricci, ondulati, lisci, leggermente mossi, corti o lunghi ma rigorosamente neri. Uomini, donne, giovani e vecchi. Nessuno faceva eccezione."

Non mi resta che augurare BUONA LETTURA!

Fatela conoscere e condividetela con altri.
Ho liberato una favola, spero che volerà in lungo e in largo andando a trovare tanti bambini.



venerdì 7 dicembre 2012

BABBOnline racconta su BABYTALK la sua esperienza con l'uso del linguaggio di sua figlia.


Grazie ad un recente post di Marzia del blog “L’ascia sull’uscio”, ho scoperto il sito BABYTALK che si occupa della comunicazione con i bambini e dell'apprendimento delle lingue.
 
Questi argomenti mi interessano molto e ho pensato di raccontare l'esperienza che sto vivendo con mia figlia che, con le sue prime parole ed espressioni, ha iniziato il suo percorso nel mondo del linguaggio.
 
 
Buona lettura.
 

mercoledì 5 dicembre 2012

La tradizione, un porto dal quale guardare il mare per restare o per allontanarsi.

 
Per darsi una spinta per spiccare un salto, o meglio il volo, serve un punto di appoggio. Un punto dal quale staccarsi, se si preferisce, o al quale rimanere vicini. Comunque questo punto ci vuole.
Allo stesso modo credo che funzioni la tradizione e, in generale, tutti gli elementi ripetitivi e di identificazione che, di solito, troviamo in famiglia.
Ho sempre cercare di allontanarmi dalle tradizioni, da quelli che consideravo obblighi senza senso da ripetere come una liturgia immutabile nel tempo. Poi, crescendo ed effettivamente abbandonando un po’ certe tradizioni con le quali ero cresciuto, mi sono reso conto che l’assenza di questi elementi sarebbe stata peggiore. Perché, inconsapevolmente, avevano contribuito alla mia crescita. Senza quelle tradizioni ci sarebbe stato un vuoto che non mi avrebbe permesso di sviluppare la mia personalità, le mie idee, le mie convinzioni.
Così, anche se in un modo diverso, un modo “nostro” ovvero il modo della mia nuova famiglia che nasce dall’unione di due esperienze diverse che ne creano una terza, anche io cerco di mettere dei mattoncini sulla strada di mia figlia sperando che le serviranno per avere fondamenta solide sulle quali crescere. Mattoncini fatti di tradizioni, modi di dire e riti, sia comuni che caratteristici di casa nostra.
Perché anche di quelle cose che non ripeterò nella mia vita, che ho abbandonato come tradizione ma che hanno fatto parte della mia infanzia, tengo stretto in me un ricordo che alcune volte, in periodi veramente freddi della vita, mi scaldano il cuore.
Credo che una delle più grosse mancanze nei confronti dei figli sia senza dubbio il silenzio sulla nostra storia passata, non perché la ripercorrano allo stesso modo ma per la costruzione della propria.
 
Diversi mese fa ho scritto in un altro post sulla necessità, apparentemente paradossale, di avere le radici per volare. Ne sono sempre più convinto.
 
Questo post partecipa al blogstorming.
 

domenica 2 dicembre 2012

L'impegno di un papà davvero speciale.

Dedicato a G.
 
Può succedere che un papà debba stare lontano per diversi mesi dai propri figli. E che quel “lontano” voglia dire in un altro continente, con ben otto ore di fuso orario. Ogni sera quando andrà a dormire, i suoi figli si staranno per svegliare per iniziare una nuova giornata.
Per cercare di mantenere il filo del loro rapporto, si impegna a rimanere in contatto con loro tutti i giorni. Si sa che quando i bambini sono piccoli la loro attenzione è lieve e di breve durata. Possono racchiudere in poche parole il racconto di un'intera giornata.
Per accompagnarli in questi mesi, e per dare loro stimoli nuovi nei loro collegamenti video, tra le altre cose questo papà sta imparando a creare le forme degli animali con i palloncini e a fare gli origami con la carta.
 
Fortunatamente la tecnologia ci viene in aiuto e permette a questo moderno papà di aggiungere le immagini alla voce, alla quale era legato il padre delle “Favole al telefono” di Gianni Rodari che, essendo fuori casa durante la settimana, chiamava ogni sera la figlia per raccontarle una favola.

Le distanze possono essere accorciate, basta impegnarsi.
 

giovedì 29 novembre 2012

Riflessioni di ritorno dal nido: "Siamo sicuri di sapere come vorremmo che fossero i nostri figli?"


Non ho mai sentito dire da qualche genitore di avere un figlio calmo e tranquillo. Tutti si lamentano di avere bambini molto vivaci, qualcuno afferma sconsolato che suo figlio è molto “impegnativo”.
Sinceramente io sono tra questi ultimi. Mia figlia è un movimento continuo, cerca sempre nuove cose da fare, si arrampica ovunque, salta su qualsiasi cosa che sembri una poltrona o un divano. Ultimamente vuole avere l’ultima parola su tutto. Perfino infilarsi una maglia diventa un motivo di contestazione, se noi iniziamo dalla testa lei vuole farlo da una manica, scegliendo persino il braccio. Si mette a curiosare in qualsiasi cosa facciamo. Vorrebbe ripetere tutto quello che ci vede fare. Per sfidarci, inizia a fare, o solo mostra di voler fare, le cose che sa esserle vietate e poi ci guarda con lo sguardo furbo malcelando un sorrisetto.
Questo significa non poter mai abbassare la guardia, tenere sempre alto il livello di attenzione, per un attimo di distrazione potremmo rischiare l’allagamento del bagno o vedersela in piedi in equilibrio instabile sulla spalliera del divano. Questo significa, inoltre, dover mettere sempre le cose in chiaro, ripeterle decine di volte, affrontare frequenti capricci con pianti singhiozzanti.
 
Questa è la premessa che ci porta dritti dritti al nostro rientro dall’incontro con le maestre del nido di mia figlia. Tutto confermato. Nel loro caso la vivacità coinvolge anche gli altri bambini, magari i più piccoli che sarebbero tranquilli, prendendo loro il ciuccio per farsi correre dietro o rovesciando il loro biberon durante il pasto.
Per una strana ragione, i colloqui sul comportamento dei bambini piccoli sembrano da un certo punto di vista colloqui anche “sui” genitori. Nel senso che i genitori, di solito, si sentono molto coinvolti, in prima persona, su quello che viene detto loro. “Forse penseranno che non siamo capaci di darle delle regole?!”
 
Le mie riflessioni si sono fermate su un punto particolare: “Se potessi definire io il comportamento esatto di mia figlia, come vorrei che fosse?”
Sicuramente vorrei che fosse ubbidiente quando le dico una cosa, che fosse vivace nei momenti giusti e curiosa quando il momento lo richiede. Che quando fuori piove e non possiamo uscire, volesse stare con me sul divano a leggere una bella storia, che capisse che quando è l’ora di tornare a casa dal parco rientrasse senza fare capricci, che capisse che fa bene mangiare le verdure, che è meglio usare sempre il cucchiaino per mangiare lo yogurt piuttosto che infilarci tutta la mano, che le cose buttate a terra faranno sempre lo stesso rumore quindi basta averlo fatto una volta…
Se facesse tutto questo, molto probabilmente non sarebbe una bambina in carne ed ossa.
A pensarci bene, anche se fosse molto meno faticoso, non sarei contento di avere una figlia, in particolare in previsione della sua crescita, che accettasse tutto quello che le si dice, che facesse una cosa solo perché l’ha detta un adulto, passiva rispetto a quello che le succede intorno o che non sentisse l’esigenza di imporre la propria personalità e volontà. Magari se lo facesse almeno ogni tanto…
 
Non ci resta che tenere duro, anche quando la stanchezza è lì per prendere il sopravvento. In questo, il gioco di squadra tra mamma e babbo è fondamentale.
 
Ieri sera, dopo l’ennesima volta che le dicevo di rimettere al suo posto una cosa, ribadendo il concetto le ho preso quello che teneva in mano e l’ho fatto io. Lei è scoppiata in un pianto dirotto. Poi mi è corsa incontro a braccia aperte. L’ho presa per calmarla.
Credo che non si debba confondere il rispetto delle regole con la dimostrazione di affetto che ci deve essere sempre.
 

lunedì 26 novembre 2012

La regola "Chi taglia non sceglie"


Ricordo molto bene che al momento di dividere qualcosa tra me e mia sorella, qualcosa che dovesse prevedere proprio una divisione fisica come una fetta di torta, un panino o un pezzo di plastilina, i miei genitori adottavano una strategia che risultava vincente. Riuscivano nello stesso momento ad evitare discussioni su chi avesse avuto la parte più grossa e a responsabilizzarci facendoci rendere conto delle nostre scelte ed azioni.
Sembra banale per una cosa così piccola come dividersi l’ultimo pezzo di un dolce ma vi assicuro che per due bambini tutto assume importanza.
 
Ci mettevano semplicemente di fronte alla seguente regola “Chi taglia non sceglie”, uno dei due poteva dividere ma era l’altro a scegliere il pezzo. In questo modo nessuno dei due poteva dire che l’altro era stato favorito.
Ricordo che chi sceglieva di tagliare si trasformava in una specie di ingegnere. Sembrava calcolare esattamente le misure, faceva addirittura delle prove prima di affondare il coltello. Diventavano tagli di estrema precisione. A lavoro ultimato, mentre l’altro si riposava per lo sforzo mentale, era il turno di chi poteva scegliere tra le due parti. Il ruolo di precisione passava al secondo che guardava attentamente, più da vicino e più da lontano, prima di compiere la scelta.
Il risultato era stato raggiunto, alla fine tutti e due eravamo contenti senza alcuna discussione.

domenica 25 novembre 2012

Un dardo ha colpito BABBOnline!

PREMIO DARDOS

Un dardo ha colpito BABBOnline e credo proprio che sia arrivato dritto al cuore.
E' stato scoccato da MAMMAPIKY, che ringrazio per aver pensato a me per questo riconoscimento.
 
Si tratta del "PREMIO DARDOS" creato nel 2008 dallo scrittore spagnolo Alberto Zambade autore del blog Leyendas de "El Pequeño Dardo" El Sentido de las Palabras .
 
Mi fa particolarmente piacere in considerazione delle motivazioni del premio: “riconoscere il valore di ogni blogger, per l’impegno nella trasmissione di valori culturali, etici, letterari e personali”.
Ne trarrò la forza per concretizzare alcune idee che ho in mente per questo blog e per le quali c'è sempre poco tempo. Chi mi segue le scoprirà...
 
Le regole sono le solite: ringraziare chi ha assegnato il premio, mettendo nel proprio post dedicato il link al suo blog; designare altri 15 blog (personalmente prendo sempre questo numero come limite massimo) ai quali assegnare il premio ed andare ad avvertirli.
 
Ho fatto la mia scelta sulla base delle motivazioni collegate, i dardi scagliati andranno a colpire i seguenti blog

giovedì 22 novembre 2012

“LEGGERE CON I PROPRI FIGLI”: BABBOnline si racconta su DilloCon1Fiaba

Il blog DilloCon1fiaba ospita un post di BABBOnline nel quale racconto la mia esperienza di approccio iniziale alla lettura con la mia bambina di circa due anni.
 
Clicca qui per leggere il post.
 


martedì 20 novembre 2012

Poveri padri, a cercare di risolvere anche un “paradosso”.


Leggendo l'interessante libro "Il gesto di Ettore" di L.Zoja ho scoperto che i papà si trovano a dover gestire anche il cosiddetto “paradosso del padre”. Cito testualmente "Di regola la madre sarà valutata come madre per quello che fa con il figlio: compito grande, certo, ma chiaro e identificabile. Invece il padre non è padre solo per quello che fa con il figlio, ma anche per quello che fa con la società: e le leggi che regolano questi due spazi di azione non sono le stesse.
Lo stesso Freud racconta di un episodio accaduto nella vita del padre che minò il ruolo di modello del genitore.
"Un giorno Jacob Freud, stava passaggiando per Freiberg. Era ben vestito e portava un berretto di pelliccia nuovo. A sua volta, si trovò davanti un uomo. La situazione era imbarazzante: il marciapiedi, a quei tempi, era spesso uno stretto camminamento, tanto per evitare la superfiecie fangosa della strada. Jakob accennò ad un nuovo passo, ma con timidezza perché non ne faceva una questione di principio. L’invasore più veloce e, animato evidentemente da una certezza di superiorità, gli buttò il berretto nel fango, gridando: “Giù dal marciapiede, ebreo!”. Raccontando l’episodio al figlio, a questo punto si fermò. Ma il piccolo Sigmund lo incanzava perché, per lui, proprio qui veniva la parte più interessante del racconto. “E tu cosa hai fatto?” Con calma, il padre, rispsose: “Sono sceso dal marciapiede ed ho raccolto il berretto”.
 
Sembra, quindi, che per la figura del padre conti molto non solo il rapporto che instaura con i propri figli  “tra le quattro mura di casa” ma anche quella che potrei definire la sua “proiezioni” sulla società esterna.
Credo che una riflessione sul posto che il proprio padre occupa nella società sia normale e che tutti, in vari momenti della vita, l’abbiano fatta. Si tratta, comunque, di una valutazione soggettiva che dipende fondamentalmente dalla propria scala di valori, quella che ci è stata trasmessa e quella che ci siamo costruiti nel corso degli anni.
 
Sono convinto che occorra cercare di superare qualsiasi tentazione edonistica che potrebbe indurci a dare di sé una visione vincente a tutti i costi. Sarebbe troppo facile impressionare positivamente i bambini piccoli. Mai come in questo caso le bugie avrebbero le gambe corte, con gli anni le maschere cadono inevitabilmente.
Cercare di fingersi diversi da quello che si è sbagliato per ogni rapporto umano, figuriamoci nella crescita dei propri figli.
 
Penso che l'unica soluzione possibile sia il dialogo. Parlare, confrontarsi ed ascoltare.  
 
Che ne pensate, sia come genitori che come figli?
 

sabato 17 novembre 2012

Guest post: "PRONTO SOCCORSO FIABE" di DILLOCON1FIABA.BLOGSPOT

Mi fa veramente piacere ospitare un post di Elisabetta di DILLOCON1FIABA per farvi conoscere questo blog veramente interessante.
In particolare mi preme indicarvi che il blog offre gratuitamente la possibilità di avere una fiaba scritta su un particolare problema che vorreste affrontare con il vostro bambino attraverso questo fantastico strumento.
Buona lettura...
 
 
Ho iniziato a scrivere favole quando mia figlia aveva 2 anni.
L’esigenza che avevo era quella di farmi capire: volevo spiegarle che doveva farsi il bagno, anche se non voleva; che dovevamo lavare i capelli e tagliare le unghie; che era ora di dormire e che doveva mangiare la verdura. Le ragioni erano tantissime e lo strumento “fiaba” veniva ogni volta in mio aiuto.
Con il tempo, l’esperienza si è ampliata. Ai miei figli si sono aggiunti gli amici, poi i conoscenti e dopo la pubblicazione dei miei primi libri di fiabe, il mio lavoro si è esteso a macchia d’olio. Oggi scrivo fiabe per aiutare i bambini che affrontano situazioni difficili, come l’adizione o la separazione dei genitori; l’affido o la malattia grave.
Nonostante queste tematiche siano gravi e spesso tragiche, capisco che anche i bambini normali, quelli che non vogliono fare i compiti, sono timidi o si sentono minacciati dall’arrivo di un fratellino, vivono (a modo loro) un momento difficile, nel quale posso trarre aiuto e conforto dalla lettura di una fiaba scritta per loro.
La situazione classica, l’abbiamo vissuta tutti. Il vostro piccolo piange disperato: a seconda dell’età, vuole dormire con voi nel lettone, oppure si rifiuta di lasciare il ciuccio o ancora non vuole che la mamma lo lasci per andare al lavoro.
Voi vi armate di pazienza, cercando di convincerlo con le buone: volete fargli capire che deve smettere di fare i capricci; che non serve a nulla disperarsi, che deve tranquillizzarsi... che la mamma tornerà presto a prenderlo... Ma non cambia nulla. Il bambino piange: non capisce ma si dispera.
 
Quelli citati sono solo alcuni dei tanti casi in cui una fiaba può venire in aiuto agli adulti, per permette di tradurre, nella lingua dei bambini, quello che gli adulti cercano di comunicare loro.
Ma come si fa a scrivere una fiaba per parlare con i bambini?
www.dillocon1fiaba.blogspot.com mette a disposizione la sua competenza per genitori, nonni e insegnanti che vogliono comunicare con i loro bambini.
Vi basterà scrivere una mail all’indirizzo
dillocon1fiaba@libero.it indicando chiaramente l’età del bambino e il problema che vorreste affrontare con lui. Ogni dettaglio ci aiuterà a completare e arricchire la fiaba che scriveremo per voi.
Il servizio è assolutamente gratuito: la fiaba verrà pubblicata nelle settimane successive, all’interno del blog.
 

giovedì 15 novembre 2012

Sveglie notturne ad personam


Da diverso tempo quando mia figlia si sveglia nel cuore della notte fa chiamate precise: “Mammaaaaaaaaaaaaaa” o “Babboooooooooooooo”.
Ci siamo dati la regola, tranne casi particolari, di assecondare la richiesta considerando anche che si distribuisce equamente tra di noi. L’altro rimane sotto le coperte, comunque sveglio. Da quando è nata nostra figlia il sonno non è più così profondo come prima.
 
Ultimamente, forse a causa di qualche brutto sogno, mi chiede di sedermi sul pavimento accanto al lettino e di darle la mano. Le è sufficiente afferrarmi un dito per chiudere gli occhi e tentare di riprendere sonno.
Io mi perdo per qualche minuto guardando il suo viso sereno che dorme e le ciocche bionde scomposte per essersi agitata nel letto.
La posizione diventa ben presto scomoda e aumenta la voglia di tornare a dormire nel mio letto. Così iniziano i miei tentativi quasi impercettibili di togliere il dito dalla sua presa senza che lei si svegli. Stranamente la sua presa è allo stesso tempo leggera e ferma. E’ un’attività di estrema precisione e attenzione nel tentativo di non svegliarla. Succede sempre che qualche millimetro prima del distacco definitivo, ci sia un movimento improvviso di mia figlia per riprendere la mano. Non so quanto sia cosciente, sembra dormire. Non mi resta che aspettare ancora e poi iniziare da capo l’attività di allontanamento. Di solito la seconda volta è quella buona. 
 
Torno a letto e, cercando di addormentarmi, spero che la prossima chiamata sia “Mammaaaaaaaaaaaaaa”.
 

martedì 13 novembre 2012

Avere un figlio a 96 anni: l’antitesi del concetto di “fare il padre”.


Da www.lettera43.it
Qualche giorno fa avevo letto la notizia dell'uomo che a 96 anni è diventato padre per la seconda volta. Colgo l’occasione di ritrovarla su PaternitàOggi per commentarla, dando per scontato che il fatto sia vero.
 
Dal mio punto di vista si tratta proprio dell’antitesi del concetto di “fare il padre” e rimanda indietro di anni tutti gli sforzi che stanno facendo i “nuovi padri” per far parte, sin dalla nascita, della vita dei figli.
Mi sembra proprio un esempio negativo di paternità che mostra la differenza abissale che c’è tra “essere padre” e “fare il padre”.
 
Mi viene in mentela battuta di Woody Allen:
Charlie Chaplin ha fatto figli fino a 70 anni, ma non ce la faceva a tenerli in braccio.”

venerdì 9 novembre 2012

L'iniziativa del weekend: CHI PORTA UN AMICO, PORTA UN TESORO

 
Visto l'arricchimento, sia per chi scrive post e commenti che per chi legge, che deriva dall'esperienza e dalle idee che ognuno di noi porta con sé, in questo senso un vero e proprio tesoro, mi piacerebbe allargare ulteriormente la cerchia dei contatti del blog BABBOnline.  
 
Per questo ho pensato all'iniziativa
“CHI PORTA UN AMICO, PORTA UN TESORO“
con la quale invito, chi e quando ne abbia voglia, a far conoscere il mio blog ad altri amici (via gmail, facebook, twitter, ecc.).
Ad esempio condividendo un post che vi è piaciuto particolarmente, inviando il link o in qualsiasi altro modo vi venga in mente. 
 
Grazie in anticipo a tutti!

P.S. Considerando che i papà in rete sono un po’ latitanti, mi piacerebbe un loro maggiore coinvolgimento. Addirittura all’inizio avevo pensato di chiamare questa iniziativa TI PRESENTO UN PAPA’ ma poi sarebbe stato troppo limitante.

giovedì 8 novembre 2012

Quello che i genitori non (si) dicono.


Ultimamente mi è capitato di avere confronti molto interessanti con altri genitori. Abbiamo iniziato timidamente a parlare dei nostri bambini. Diciamo la verità, gli inizi sono sempre banali.
 
Poi alcune volte succede una magia, non con tutti e non sempre.
Ma quando accade si apre un mondo fatto di esperienze vere, di lievi timori, di paure più serie, di approcci diversi, di tentativi, di sconfitte e di vittorie. Scopriamo con stupore che anche gli altri genitori vivono le nostre stesse perplessità, si muovono ogni giorno nella speranza di aver fatto le scelte giuste, si addormentano ogni sera con tanti dubbi in testa.
Anche da quelli che non ti saresti mai aspettato un’incertezza o un cedimento, che sembrano sicuri ed avere una risposta per tutto.
Scopriamo che la gran parte dei genitori ha gli stessi problemi. E fa un gran bene. A tutti, mamme e papà.
Sembra banale dirlo. Si dice, si sa, che tutti i genitori passano per gli stessi problemi. Ma non è la stessa cosa dirselo e trovarsi a parlarne.
Specialmente di questi tempi in cui molte volte le famiglie sono più sole di prima ad affrontare l’arrivo del primo figlio. Succede che i nonni siano distanti, non solo oggettivamente dal punto di vista fisico. Non c’è più, o comunque meno di prima, quella continuità di modello tra le vecchie e nuove generazioni di famiglie.
 
Quindi, grazie per quelle chiacchierate.
 
E un invito a tutti quando ci si trova a parlare tra genitori:
“La verità, vi prego, sull'avere figli”.
 

mercoledì 7 novembre 2012

lunedì 5 novembre 2012

Uscire dalla doccia con una mano verde (pur non essendo Hulk)


I pesci non hanno superato le due docce (post precedente). Si sa che un bambino piccolo è “mobile qual piuma al vento”. Bisogna prenderli così. Si impara a vivere il momento. Ci siamo divertiti con una nuova idea? Bene, ma potrebbe non ripetersi più. Come, al contrario, la formula potrebbe funzionare altre decine volte. Niente è garanzia di successo. Alcune volte basta un filo con attaccato un pezzo di carta per divertirsi una mezz’ora girando per casa fingendo che qualcosa ci insegua. 
 
E così è successo. Una mattina, senza neanche crederci troppo, avevo legato ad un comunissimo filo un pezzo di carta crespa colorata. Mia figlia ha preso in mano il filo e, muovendosi per la stanza, rideva simulando di essere inseguita da chissà quale mostro. Poi mi saltava in braccio, urlava perché, tenendo ancora il filo in mano, il mostro la seguiva anche lì.
 
L’altra sera, ripronendosi il momento della doccia di mia figlia, visto che i pesci sembravano aver perso tutto il loro fascino, ho pensato di prendere il filo con la carta attaccata all’estremità. Ma la carta nel nuovo ambiente bagno non aveva più quell’effetto divertente. Un po’ deluso l’ho attaccato all’interno della doccia, anche solo per creare un’atmosfera giocosa.
Finita la doccia mi sono accorto che con gli schizzi dell’acqua il pezzo di carta crespa verde si era attaccato al vetro e c’era un rigagnolo colorato che creava una piccola pozza colorata. Per cercare di tamponare la situazione ho pensato bene di togliere il pezzo di carta crespa. L’ho preso, stringendolo, e l’ho buttato nel cestino.
Poi, guardandomi la mano, mi sono accorto di avere una mano interamente verde scuro. Ho aperto subito il rubinetto e ho messo la mano sotto l’acqua. Con mio grande stupore non succedeva niente. La mano rimaneva verde.
Dovevo aspettare. Non potevo rischiare di far prendere freddo a mia figlia. Così dopo averla vestita, fortunatamente la mano verde non macchiava gli abiti, e averle asciugato i capelli, ma quanto ci vuole ad asciugare bene i capelli un po’ lunghi quando si ha fretta, ho pensato a quell’inizio di mutazione (il vecchio Hulk o il più nuovo Shrek?).
Chi si sarebbe mai aspettato che la carta crespa avesse un potere colorante così forte? Sicuramente non io.
 
Ci sono volute diverse “lavate di mano”, con acqua molto calda e sapone, prima di arrivare ad un colore quasi normale.
Poi mi sono chiesto “Perché farsi venire quelle idee?”
Ma la risposta è arrivata subito “Carta crespa, anche se mi hai tradito, non riuscirai a tarpare le ali alla mia fantasia!”

giovedì 1 novembre 2012

Leggendo di te conosco meglio me stesso.


Si dice che l’arte bisogna impararla ma poi, subito dopo, imparare a dimenticarla. Per essere dei veri artisti e non semplici ripetizioni di regole e concetti. Mi vengono in mente splendidi attori di teatro che avevano così bene interiorizzato la tecnica che sono riusciti, allontanandosene, a creare un loro stile nuovo e inimitabile.
Più prosaicamente, è la vecchia storia di chi imparare a guidare una macchina. All’inizio per fare una curva si deve pensare a guardare lo specchietto, frenare, mettere il piede sulla frizione, cambiare marcia e girare il volante. Tutto nello stesso momento. Sembra quasi impossibile fare tutte queste cose in pochi istanti ma poi si impara che viene tutto naturale senza neanche pensarci più.
 
Avendo da sempre la passione per i libri è stato naturale, con la nascita di mia figlia, dedicarmi a letture relative al rapporto tra genitori e figli e allo sviluppo dei bambini. Si scoprono tante teorie, in alcuni casi anche contrastanti tra di loro. In questi casi, di solito, si sceglie quella che ci sta meglio addosso. Poi si scopre che la realtà non è mai così com’è descritta nei libri. Se pensiamo alla regola appena letta o che ci ricordiamo (“se tuo figlio fa così, tu allora dovresti comportanti in questo modo…”, “per favorire questa capacità dovresti fare così…”), difficilmente riusciremo a seguirla. E’ come se lo sforzo per ricordare impegnasse così tanto il nostro cervello da spegnere ogni naturalezza nei comportamenti.
 
Sono convinto che, comunque, leggere faccia un gran bene.
In fondo, leggere dei nostri figli è leggere del rapporto tra esseri umani. Molte volte mi succede di leggere cose che possono essere tranquillamente utilizzate in qualsiasi circostanza nella quale si abbia a che fare con altre persone. Praticamente sempre.
In fondo leggere dei nostri figli è anche leggere di noi stessi. Ci permette di conoscerci meglio. Alcune volte ci fa fare un viaggio indietro nel tempo per vedere sotto una nuova luce le nostre esperienze passate e capire meglio come siamo adesso.

lunedì 29 ottobre 2012

Il lato oscuro dell’autorità


Da un osservatorio privilegiato, ancorché indiretto, sul mondo della scuola elementare mi rendo conto di quanto pesino sulle spalle dei bambini, e quanto ipotechino il loro futuro, gli errori dei genitori. Le famose “colpe dei padri”, ma sarebbe meglio parlare di “colpe dei genitori”, in termini di incomprensione, di sottovalutazione o di negazione di certe problematiche che inevitabilmente danno luogo a scelte che ricadono sui figli.
 
Ne sento raccontare tante. Di genitori che minimizzano certe difficoltà rifiutando qualsiasi aiuto esterno e negando qualsiasi supporto interno da parte della famiglia.
Dando per scontato che ogni genitore, o almeno la maggioranza, sia in buona fede e voglia il bene dei propri bambini, non posso che attribuire questi comportamenti a mancanza di “strumenti” o di preparazione per capire certe situazioni. E’ forse uno degli esempi attraverso il quale si capisce che l’amore non basta.
In questi casi mi viene sempre spontaneo chiedere come mai non si possa obbligare questi genitori a ricevere aiuto per i loro figli. Con la pazienza di chi la sa più lunga, e che sa per esperienza che la strada più veloce non è quasi mai quella giusta, mi spiegano che ci deve essere sempre il coinvolgimento dei genitori, che è sempre un percorso che deve portare alla loro condivisione.
Sarà vero, ma non sono proprio convinto al cento per cento. Come genitore lo posso capire, non deve esser facile avere qualcuno che ti dice cosa e come fare qualcosa per tuo figlio. Ma con occhi neutrali che guardano quei bambini, non posso che avere almeno un piccolo dubbio che mi gira per la testa.
Poi mi è capitato di vedere le immagini del bambino portato via a forza dalla Polizia davanti alla scuola. Sentire le parole “lei non è nessuno” e “lei non sa chi sono io”.
E quel piccolo dubbio se ne è andato, almeno per adesso.
Forse è semplicemente la solita vecchia storia che per avere i migliori risultati ci vuole tempo. Così, cercare il coinvolgimento dei genitori, ancorché più faticoso e lungo, darà sicuramente frutti migliori.
 
Il ricorso a un’autorità esterna alla famiglia non può essere “la soluzione”. Probabilmente “una soluzione” ma da lasciare a casi eccezionali.

giovedì 25 ottobre 2012

La paura per quei biglietti attaccati alla porta del nido.


Tanti genitori di oggi vivono come moderni acrobati, traballando sul filo teso degli impegni quotidiani e lanciandosi da un trapezio all’altro sperando di aver calcolato bene tempi e distanze. Non c’è rete e non ci sono neanche gli applausi del pubblico.
Così, qualsiasi cosa che faccia traballare il filo o che modifichi il ritmo del trapezio mette in apprensione.
 
Tra queste ci sono sicuramente le comunicazioni attaccate alla porta di ingresso del nido. Dal cancellino al nido c’è un breve vialetto. Ogni volta cerco di capire in anticipo se c’è un nuovo foglio attaccato. Sforzando al massimo la vista. Più mi avvicino, più realizzo la presenza o meno di un problema.
Alcune settimane fa, il fatidico foglietto avvertiva che il giorno dopo l’orario di chiusura del nido sarebbe stato anticipato alle 13 per sciopero. Lasciata mia figlia, chiamo subito mia moglie per darle la notizia ed organizzarci.
La settimana dopo leggo sul giornale di un altro sciopero. Questa volta gioco di anticipo. Chiedo, per avere il tempo di organizzarmi. Ancora non si sa niente. Poi una delle mattine seguenti, sempre lungo il solito vialetto, adocchio un foglio alla porta. Ho un attimo di esitazione, poi proseguo. Avvicinandomi riesco a focalizzare il testo, non subito. Tiro un sospiro di sollievo. E’ solo la comunicazione per l’entrata in vigore del menù invernale. Mai l’arrivo dell’inverno fu così ben accetto.
So già che ci saranno altri fogli alla porta. Lo so per l’esperienza dello scorso anno. Come gli avvertimenti per i casi di malattie infettive. E subito a fare gli scongiuri.
 
Ricorderò per sempre la prima comunicazione sulla porta del nido: Si è verificato un caso di “mani e piedi”. “Eeeeeeeeehhhhhhhhhhhh?!?!?!!?” Pensai: “Di che caspita si tratta?”

lunedì 22 ottobre 2012

Via i bambini dalla televisione, sia “davanti” che “dentro”.


E’ vero che non bisogna confondere la forma, o mezzo, con il contenuto ma ho anche imparato che la forma, o il mezzo, può anche essere parte del contenuto stesso.
Si potrebbe dire che se è vero che contano le parole, come contenuto, sono altrettanto importanti il tono e il mezzo usato per esprimerle (a voce, al telefono, per scritto, ecc.).
Credo che lo stesso valga per la televisione, in quanto mezzo. Anche se è vero che c’è un grande differenza tra vedere SuperQuark e Il grande fratello, il mezzo entra in gioco in maniera preponderante e diventa anche un po’ contenuto.
Per quanto riguarda i bambini, credo che il binomio bambini e televisione sia tra quelli che accendono di più la discussione.
Io distinguerei tra bambini “davanti” e bambini “dentro”.
 
Per quanto riguarda i bambini “davanti”, sono convinto che, specialmente per i più piccoli, sia da ridurre al minimo l’uso della televisione cercando di selezionare accuratamente i contenuti. Sulla base dell’esperienza con mia figlia ho notato un fenomeno preoccupante: se accendi la tv, si spegne il bambino.
Mi ricordo che una volta su un muro ho letto la scritta “Spegnete la tv e accendete il cervello!”.
Vedo che accendendo la tv mia figlia sembra letteralmente rapita dalle immagini. Abituato a vederla in movimento, curiosa e con lo sguardo vispo mi sento quasi sgomento nel vedere i suoi occhi quasi spenti. Mi siedo accanto a lei e cerco di interagire, parlando e commentando le immagini. Ma allora non è meglio un gioco? Anche quando è da sola a fare qualche gioco la vedo molto più attiva.
Quindi, senza demonizzare un mezzo così potente, e proprio per questo da gestire con cautela, credo che sia salutare ridurne l’utilizzo il più possibile. 
 
Sui bambini “dentro” la televisione, mi permetto di essere veramente intollerante fino a dire “Via i programmi con i bambini dalla televisione”. Sinceramente non riesco a sopportare quei programmi serali con i bambini che cantano. Mi sembrano veramente delle scimmiette ammaestrate “a fare gli adulti” ad uso e consumo degli adulti. In particolare per i genitori con lacrima facile che si sbracciano tra il pubblico.
Perché i bambini dovrebbero fare i bambini. Avranno tempo per essere adulti, non c’è bisogno di bruciare le tappe. 
 
La prossima volta che penserete a qualcosa per i vostri bambini, chiedetevi per chi lo state facendo. Guardare la televisione è solo un "parcheggio" affinché i genitori possano stare un po’ in pace? Far partecipare i propri figli a certi programmi permette ai genitori di avere visibilità e potrebbe fare loro guadagnare dei soldi?
Se la risposta è “lo sto facendo per i miei figli”, allora possiamo andare avanti.