lunedì 22 giugno 2015

Bambini “sperduti” alle festicciole di compleanno


Ultimamente alle festicciole, o ai compleanni, mi succede di vedere bambini che girano piangendo e cercando la mamma o il babbo che li ha accompagnati. Magari per una caduta, per una spinta durante i giochi o per il semplice spaesamento che possono avvertire in mezzo a tanti altri bambini.
In alcuni casi accade che il bambino “sperduto” non sia uno degli amichetti di mia figlia e, quindi, non conoscendo il genitore si debba indagare tra i presenti: 
“Questo bimbo sta cercando la sua mamma, qualcuno la conosce?”. 
Di solito in pochi secondi si rintraccia il genitore che, dispiaciuto, lascia la discussione sulle possibili soluzioni di pace sulla striscia di Gaza tra Israeliani e Palestinesi, che lo aveva distratto, per tornare a pulire lacrime e moccio.        
Mi pare strano che, pur nelle normali chiacchiere tra genitori, non si butti ogni tanto un occhio per vedere dove sia o cosa stia facendo il proprio figlio visto che solitamente nelle festicciole tra bambini c’è chi si arrampica su una pila di sedie traballanti, chi si scontra di testa correndo e guardando dietro o chi scivola sull’aranciata versata per terra.
Per non parlare dei bambini assetati che compaiono all’improvviso non appena qualcuno si avvicina al tavolo delle bibite. Tanto che uno si chiede: “Ma aspettavano me?” Forse è per questo che altri se ne tengono bene alla larga.
Perché poi mi è capitato il bimbo, piccolo fashion-victim, con la polo con il colletto alzato, il taglio di capelli alla moda che mi chiede da bere ma specificando: “Vorrei un po’ d’acqua e del succo d’arancia frizzante, ma in bicchieri separati”.
Il primo pensiero, che va alla famosa richiesta dell’agente James Bond che ordinava sempre Vodka Martini “agitato, non mescolato”, viene immediatamente sostituito dal secondo sicuramente meno nobile ma con la scusante del tempo passato con la musica alta e in mezzo al vociare dei bambini:
“Ma tua mamma si occupa solo del look?”

martedì 9 giugno 2015

Quella paura dei genitori per la sensibilità dei figli

C’è un nuovo spauracchio che circola ultimamente tra i genitori. Non è una mia particolare percezione, ne sento proprio parlare: il timore dei genitori nei confronti della sensibilità dei figli. Se ne parla sempre in un’accezione negativa, come di un possibile problema per il futuro.
Leggiamo ai nostri figli libri che trattano la diversità e la ricerca delle proprie caratteristiche, li portiamo a vedere film che dovrebbero mostrare l’importanza di seguire la propria personalità ma poi quando chiudiamo il libro o quando usciamo dalla sala, se non già ai titoli di coda, pensiamo già di tornare alla vera realtà.     
Inutile nascondersi, dobbiamo affrontare il nostro quotidiano. Spiace dirlo, ma sono in particolare i papà a toccare questo argomento, specialmente se hanno un figlio. Ahimé, si potrebbe dirla usando le parole della famosa canzone Father & Son “E' sempre la stessa vecchia storia”. Sempre lo stesso vecchio contrasto tra come vorremmo che fossero i nostri figli e come sono, o saranno, veramente.   
La sensibilità sembra un campanello d’allarme che suona nelle orecchie dei genitori per avvertirli di una futura debolezza o incapacità di farsi rispettare. Alcune volte mi capita di sentire genitori dire, quasi come se si scusassero: “Sai, è un po’ timido”.

Credo che come adulti stiamo vivendo in modo molto forte, forse troppo, la percezione di un mondo ostile, di una società diventata ormai a beneficio del “più forte” e del “più furbo”. Un mondo nel quale, finito il tempo dell’associazionismo di vario livello e tipologia nel quale era più facile sentirsi parte di un gruppo solidale, conta ormai solo l’individualismo. Sembra che il motto dominante sia “morte tua, vita mia”.
In un momento storico in cui i posti di lavoro sono pochi e molto spesso precari, sentiamo che la corsa al proprio posto al sole debba essere senza esclusioni di colpi e, una volta raggiunto, da difendere con le unghie e con i denti.

Così, con una visione un po’ schizofrenica, vorremmo che i nostri figli fossero:
  • educati, quanto basta per non sfigurare nel nostro ruolo di genitori, ma sfrontati nelle occasioni giuste.
  • leader con i compagni ma non ribelli, così da non avere pensieri quando sono fuori casa.
  • bravi studenti a scuola ma non i primi della classe per non essere additati come “secchioni”.
  • non particolarmente paurosi ma neanche con disprezzo del pericolo.
  • con il loro carattere ma in linea con le nostre aspettative.
Ma come sono, e come saranno, i nostri figli?

mercoledì 3 giugno 2015

Oggi ti racconto una favola di quando ero bambino #unafavoladiquandoerobambino

Qualche sera fa mia figlia ha iniziato a scherzare sulla paura. Ridendo, inventava motivi più o meno strani per non scendere dal divano, come ad esempio che ci fossero degli squali che ci giravano intorno come se il pavimento fosse diventato mare.
All’ennesimo “Ho paura…” mi è scattato in testa quel “Che hai paura della gatta gnuda?” che mi diceva spesso mia nonna. Avere paura della “gatta gnuda”, cioè nuda in quanto senza la sua pelliccia, è un modo di dire usato in Toscana per identificare timori di cose inesistenti o di poco conto.

Quel ricordo ne ha richiamo immediatamente un altro, come se avesse aperto in automatico un altro cassetto della mia memoria. Mi è tornata alla mente la favola di “Buchettino” che mi raccontavano da piccolo. Uno di quei racconti non famosi, legati a un particolare territorio, e destinati a rimanere in vita solo grazie al fatto di essere tramandati oralmente tra le diverse generazioni all’interno delle famiglie.
Non so se abbia senso richiamare favole vecchie di tanti anni, e specifiche di piccole realtà, in un mondo globalizzato nel quale i nuovi racconti, specialmente quelli che diventano film di animazione, sono letti e visti dai bambini di tutto il mondo, trattando tematiche importanti e attuali come ad esempio l’integrazione tra culture diverse.
Comunque ho voluto fare una piccola ricerca e ho trovato alcuni libri dedicati alle favole toscane realizzati con lo scopo di cristallizzare i racconti della tradizione locale fino a quel momento lasciati alla sola trasmissione orale.
C’è anche la favola di “Buchettino”. Mi sono accorto, però, che quella della mia memoria presenta alcune lievi differenze rispetto a quella pubblicata. Così ho pensato di trascrivere la mia versione della favola di “Buchettino” (la trovate in fondo a questo post) divertendomi a fare qualche illustrazione, rigorosamente sottoposta al giudizio severo di mia figlia.
Ogni tanto la sera prima di addormentarsi mia figlia mi chiede di raccontargli le storie di “Buchettino”, un bambino che con l’ironia e l’astuzia riesce a battere l’orco, e della “Gatta gnuda” che si aggira nei boschi dopo aver perso la sua pelliccia.

E voi avete una favola della vostra infanzia che volete recuperare dalla memoria per raccontarla ai vostri figli?
Ho pensato che sarebbe bello condividere con loro almeno una delle fiabe di quando eravamo bambini noi. Una di quelle che molto probabilmente non troveranno tra gli albi illustrati di una libreria o di una biblioteca.
Se ne avete voglia, scrivete un post e mettete il link tra i miei commenti #unafavoladiquandoerobambino 

"Buchettino" (Favola della tradizione toscana)
C'era una volta un bambino di nome Buchettino.