lunedì 22 dicembre 2014

Se l’asilo diventa una sfilata di giocattoli

Temo il rientro all’asilo dopo le vacanze di Natale.
Dopo un primo inizio caotico con bambini che portavano diversi giocattoli da casa è stata messa la regola che ogni bambino può portare un solo giocattolo. Nelle intenzioni delle maestre questo limite doveva servire per permettere ai bambini di portare un pupazzetto per il momento della nanna.
Nella pratica i bambini, ma in questo caso dovremmo dire i genitori, rispettano più o meno il limite ma quell’unico giocattolo è diventato l’occasione per mostrare quanti e di quale valore giocattoli si hanno. Così succede che i bambini vogliano portare, ma soprattutto che i genitori concedano, un giocattolo diverso ogni giorno e che sia qualcosa che piaccia anche agli altri compagni.   
Lo sento da mia figlia che la mattina mi dice “Questo pupazzetto non lo voglio portare perché i miei amici l’hanno già visto” e lo vedo da cosa portano gli altri bambini in classe. Qualcuno ha avuto il coraggio di portare giochi elettronici che, secondo me, rappresentano il contrario di quella socialità che dovrebbe incoraggiare l’asilo.
Per questo temo il rientro all’asilo dopo le vacanze di Natale quando i bambini avranno tanti regali nuovi. 
Noi abbiamo già cercato di chiarire a mia figlia, mentre esprimeva le sue preferenze per i regali di Babbo Natale, che non avrebbe potuto portarli tutti all’asilo. Ma già ci prepariamo a discussioni mattutine.
Io sarei per mettere una nuova regola. Come si dice “Anno nuovo, regola nuova”. “Non si portano da casa giochi all’asilo”.
Unica eccezione, il pupazzo per la nanna da lasciare nella brandina.
Sono sicuro che qualcuno attaccherà due orecchie e una coda di stoffa al tablet per poterselo portare all’asilo…

domenica 14 dicembre 2014

“Babbo, è finito. Lo puoi buttare” ovvero la seconda vita dei pennarelli

Mia figlia è nel pieno del periodo di colorite da pennarelli. Non parliamo neanche di matite o cere, solo pennarelli. Perché con colori molto più vivaci e decisi e, forse, anche perché si riesce a colorare con meno fatica.
La colorite si manifesta con la voglia di colorare qualsiasi cosa, non solo le pagine con i disegni da colorare ma anche i disegni già stampati colorati o i fogli bianchi solo per la voglia di dare colore.
Qualche giorno fa entrando all’asilo l’ho vista intorno a un tavolo pieno di pennarelli con altri bambini. Mi sono avvicinato per sbirciare e mentre gli altri avevano abbozzato alberi, fiori, case o bambini sul suo foglio ho visto che lei stava colorando con tutti i colori disponibili quella che sembrava una semplice sfera. Le ho chiesto cosa stesse colorando e lei mi ha spiazzato con una delle sue risposte: “Un girotondo”.
Una conseguenza della colorite è che i pennarelli hanno un ciclo di vita veramente breve, tra comprarli e gettarli passa veramente poco. Anche perché i colori dei pennarelli sono belli quando sono vivaci. Già quando iniziano a essere un po’ sbiaditi l’interesse crolla inesorabilmente.  
Così, prendendo spunto da un’idea vista in uno dei tanti laboratori, quando mia figlia mi porta i pennarelli dicendomi “Babbo, è finito. Lo puoi buttare” io le dico di metterli in un cassetto.
I pennarelli che funzionano poco possono essere utilizzati per un’attività diversa dal colorare, nuova e divertente.
L’incontro con il sale da cucina permette di dare ai pennarelli una seconda vita.

lunedì 8 dicembre 2014

Momenti che riempiono il cuore

Durante la settimana le mattine nelle quali non accompagno mia figlia all’asilo è la mamma a svegliarla e, di solito, io sono già uscito per andare a lavoro.
Il fine settimana, visto che ultimamente si sta svegliando a orari non degni di un sabato o domenica, quando si affaccia in camera nostra mi trova a letto. Anche se ho sentito l’avvicinarsi dei suoi passettini sul parquet, perché da genitori non si ha più il sonno pesante come una volta, faccio finta di dormire ma lei mi pizzica un piede attraverso la coperta.

Qualche mattina fa mentre io ero in bagno con la porta socchiusa per fare poco rumore e non svegliarla prima dell’ora stabilita, mia figlia si è alzata. E’ andata dritta in camera nostra, non facendo caso che la stanza da bagno era chiusa. Non vedendo nessuno a letto è scesa nel suo piagiamino a cercare la mamma.
Io non mi ero accorto di niente ma quando ho sentito di mia moglie dire “Buongiorno!” ho capito subito.
Così mi sono affacciato alle scale chiamando mia figlia.
Lei, sentita la mia voce, è esplosa in un “C’è babboooo!!!” con una tale di felicità e contentezza, come se fosse la più bella sorpresa, che quelle parole mi hanno veramente riempito il cuore.

lunedì 1 dicembre 2014

Camminare facilita il dialogo #camminarparlando

Ultimamente mi capita più spesso di camminare insieme a mia figlia. Crescendo si stanca meno e ormai il passeggino è stato abbandonato.
Ad esempio, qualche sera fa mentre andavamo a piedi in biblioteca ho iniziato a parlare del fatto che quella mattina aveva fatto tante storie per alzarsi dal letto. Durante il percorso ci siamo confrontati e scontrati: “La mattina sono stanca”, “La sera non vorresti mai andare a letto”, “Puoi fare il riposino all’asilo”, “Ci sono bambini che non mi fanno dormire”…
Oppure, approfittando del caldo sole che ancora ci concede questo autunno, qualche pomeriggio fa siamo usciti e abbiamo fatto una camminata veramente lunga. Tanto che io ogni tanto dicevo “Ricordati che dobbiamo tornare indietro a piedi” e lei ribattevate “Sì, lo so. Ma voglio arrivare laggiù”. Così tra un “Lo sai come si chiama questo albero?” e un “Perché i cani abbaiano?” ho colto l’occasione per buttare lì qualche domanda sull’asilo, sui suoi amichetti, su quello che le piace di più o di meno.

Non ho elementi scientifici per affermarlo ma, mi sembra, che passeggiare insieme favorisca il dialogo. Sembra che venga più facile chiacchierare, raccontare e ascoltare.
Non so se camminando ci si rilassi o l’impegno fisico, più lieve rispetto alla corsa ma comunque presente, rilasci qualche sostanza nel nostro organismo e ci renda più predisposti a parlare rispetto a essere seduti da qualche parte. 
Non so se dipenda dal fatto che camminando il nostro sguardo sia normalmente rivolto verso la strada e solo ogni tanto ci si guardi. Alcune volte viene meglio parlarsi senza guardarsi negli occhi, forse per pudore. 
Non so se esistano spiegazioni... ma mi piace molto camminar parlando.

mercoledì 26 novembre 2014

La differenza fondamentale tra un consiglio e un ordine (ovvero gli errori da non ripetere)

Nei confronti passati con mio padre ricordo che, spesso, quando capitava che gli chiedessi un consiglio lui si aspettava che poi lo seguissi.
In realtà io cercavo un confronto, volevo un punto di vista di una persona che per me aveva un valore, una certa esperienza, che poteva farmi vedere una questione da un’altra angolazione e che mi avrebbe portato a riflettere. Era chiaro per me che poi la scelta sarebbe stata mia.
Non capivo certe sue rimostranze. Un consiglio si può seguire o no, altrimenti diventa un ordine. La differenza fondamentale è data dalla libertà di scelta.
Non si tratta di mancanza di riconoscenza. Non ha senso dire “ma allora perché me lo chiedi, se poi fai quello che vuoi”.
Anche perché succede che una volta chiedi un consiglio, lo fai anche una seconda volta ma poi ti stanchi e non lo chiedi più.
Ed è un peccato, un vero peccato.

venerdì 21 novembre 2014

Perché non scrivo la letterina a Babbo Natale

Ho scoperto che tutto quello che faccio insieme a mia figlia, o per mia figlia, viene vanificato con un colpo di spugna per il semplice fatto di non farle scrivere la letterina a Babbo Natale.

Proprio io che dovrei avere una grande riconoscenza nei confronti di uno dei personaggi più famosi che porta avanti il nome di “Babbo”, alla faccia dei papà che si fanno forti della loro maggioranza.
Dimenticate le notti insonni, la manina tenuta durante le visite dal pediatra, le uscite al parco, le letture dei libri, i giochi insieme, i disegni e chissà (io lo so) quanto altro, perché manca la letterina. Moderna pietra di volta dell’arco della crescita di mia figlia tolta la quale crolla tutto. 
Ma come? Non fai scrivere la letterina a Babbo Natale?” accompagnato da sdegno e disapprovazione.
I segnali premonitori c’erano tutti, qualcuno dirà. Non ha mai visto una puntata di “C’è posta per te” (questo è vero), è un chiaro segnale di avversione nei confronti della corrispondenza scritta.

Proprio lui che parla dell’importanza della fantasia per i bambini. Un bluff? O solo per convenienza visto che è andato a trovare Babbo Natale perché sua figlia gli regalasse il ciuccio? Babbo opportunista e calcolatore?
Giù la barba, ops, la maschera, babbonline. 
E’ che la letterina proprio non mi va giù. Ultimamente sto cercando di non fare cose che non sento.
Mettermi lì a buttare giù una lista della spesa dei regali mi piace poco.
Babbo Natale sa cosa vuoi. Sicuramente non potrà portarti tutti i regali che ti piacciono perché ci sono anche gli altri bambini. Non c’è bisogno di scrivere una lettera come se fosse un ordine su internet. Uno che in una notte riesce a portare i regali a tutti i bambini del mondo vuoi che non sappia già cosa desideri. Sennò come avrebbe potuto organizzare la fabbrica degli Elfi se avesse dovuto aspettare le lettere dei bambini. Con i tempi delle Poste poi. La fabbrica è efficiente perché gioca in anticipo, ti conosce. Non mettiamo in dubbio anche questo. Non vorrei che a qualcuno venisse in testa l’insana idea di mettere Marchionne a capo della fabbrica di Babbo Natale. Ce la ritroveremmo spostata per questioni fiscali e di immagine dalla sede storica del Polo Nord, fredda e scomoda da raggiungere, a quella nuova in un paradiso fiscale alle Hawaii per far felici gli investitori. Chiuse diverse linee di produzione, Elfi in esubero. E come regalo riceveremmo solo modellini di macchinine, blu per i maschietti e rosa per le femminucce. 

Questo non vuol dire non trasmettere la magia del Natale e del dono. Altro che letterina, tutto ci rende più difficile questo compito.
Prima di arrivare al giorno di Natale mia figlia ha già incontrato Babbo Natale decine di volte: alle feste dell’asilo, per strada, nei negozi, alle fiere di paese. Le manca di vedermi una mattina andare in ufficio con il vestito rosso e la barba lunga bianca.
Bambini sommersi di regali che pretendono di sceglierli fino a un minuto prima della mezzanotte del 24 dicembre sulla base dell’ultima pubblicità vista in televisione. Regali dei nonni, regali degli zii…ma non li portava Babbo Natale? 

Il Natale che sta arrivando tra un giorno passerà, io sto già aspettando la Befana che presto arriverà…

martedì 18 novembre 2014

Generazione di fenomeni

Qualche giorno fa hanno passato alla radio una canzone degli anni ’90, bel testo e bella musica.
Quello che mi piace delle canzoni è che fanno da sottofondo alla nostra vita perché tu le ascolti mentre fai altro. L’esatto contrario della televisione che, comunque, ti blocca a guardarla.
Nei miei ricordi associo quella canzone a una precisa estate della mia vita quando la sentivo attraverso un jukebox di un campeggio. Fu il mio primo lavoretto estivo e significava autonomia, libertà ma anche responsabilità.

Sempre più spesso mi trovo in mezzo a bambini che di 3 o 4 anni che:
- maneggiano tablet e sento genitori che pensano di regalarne uno “tutto suo” per il prossimo compleanno;
- a Natale ricevono una visita personalizzata di Babbo Natale a casa loro;
- festeggiano compleanni con torte a piani con sopra i loro personaggi preferiti;
- fanno lezioni prova di tanti sport diversi prima di trovare quello che piace loro;
- imparano l’inglese rigorosamente solo con una tata madrelingua;
- tra asilo, attività varie e cene fuori stanno a casa giusto il tempo per dormire.
In questa anticipazione di scoperte ed esperienze alcune volte mi chiedo cosa chiederanno o pretenderanno di fare e avere a quattordici anni.
Soprattutto mi chiedo se noi genitori stiamo crescendo una… generazione di fenomeni.
Impressionante l’attualità del testo che potrebbe essere stato scritto oggi.

mercoledì 12 novembre 2014

Dare voce alle proprie emozioni

Seguendo consigli presenti in rete, ho letto recentemente un libro molto interessante “Intelligenza emotiva per un figlio“.
Mi ha colpito molto una frase: “Dobbiamo accettare tutte le emozioni dei nostri figli ma non tutti i loro comportamenti”. In poche parole, va bene essere arrabbiati ma non per questo si può accettare che si rompa qualsiasi cosa che capita tra le mani. Riflettendoci bene è un ragionamento che vale per tutti, bambini e adulti.
Il riconoscimento delle proprie emozioni e la loro gestione si impara crescendo. Personalmente credo molto nel valore dell’esempio e della parola, nel senso di dialogo.
Bisognerebbe ricordare sempre di non dire ai nostri figli quel “Non devi essere… o non devi avere…” che, invece, sembra venire così immediato. “Non devi essere arrabbiato”, “Non devi avere paura”, “Non devi piangere”.
Direste a qualcuno di non aver paura di fronte a un leone? Sicuramente no. Direste a qualcuno di non aver paura di fronte a un gatto? Probabilmente sì ma se quella persona avesse una fobia vorrebbe dire negare un’emozione vera.
Non c’è niente di male di per sé a essere arrabbiato o ad aver paura. Bisogna cercare di confrontarsi con il bambino per cercare di capirne le motivazioni.
Certe volte mi sorprendo nello scoprire che i nostri figli saprebbero argomentare molto bene quello che sentono, dando spiegazioni logiche, dal loro punto di vista, delle emozioni che stanno provando. Sono i primi passi di un’abitudine al dialogo tra genitori e figli che si consoliderà crescendo.

Ultimamente mia figlia sta prendendo le misure delle sue paure.
Qualche sera fa, di fronte all’apparizione di un’ombra con gli occhi rossi nel cartone animato che stava guardando, le ho chiesto se le facesse paura. Lei mi ha risposto di no e ha cercato di spiegarmi i suoi livelli di paura che aveva identificato e i relativi comportamenti da seguire.
- Se una cosa “Non mi fa paura”, si può fare o vedere.
- Se una cosa “Fa pochino paura”, si può fare o vedere.
- Se una cosa “Mi fa paura”, è meglio non farla o vederla.
Diverso tempo fa mia figlia non voleva scendere da sola al piano di sotto per prendere un gioco chiedendo che la accompagnassi. Pensando che fosse una bizza le dissi che doveva andarci da sola perché io stavo facendo un’altra cosa. Lei mi guardò dicendomi “Ma io ho paura”. Il suo sguardo mi sembrò sincero così le dissi di aspettare qualche minuto e scendemmo insieme.
Sabato mattina scorso di fronte a un pupazzo al piano di sotto mia figlia mia ha detto “Vado a prenderlo da sola. Non ho paura. Sono calma e non ho paura”.

Tra le tante emozioni, anche guardandole con gli occhi di adulto, mi sembra che sia molto importante imparare la gestione delle proprie paure.
Mi torna alla mente l’invito di De Gregori: “Nino non aver paura di sbagliare un calcio di rigore, non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore…” (da La leva calcistica del ‘68).

mercoledì 5 novembre 2014

Storielle per andare all’asilo: il bambino che ha perso la mano nel cappotto.

Certe mattine è dura alzarsi dal letto. Per tutti. Nonostante ci si alzi per andare all’asilo dove si potrà giocare con i propri amichetti e cantare le canzoni. Ma forse quello è l’asilo visto con gli occhi di un adulto che deve andare a lavoro. Se ci andassimo noi, scopriremmo che l’asilo non è un parco giochi. Ci si diverte ma non per tutto il tempo, ci sono regole da seguire. Non tutti i bambini sono simpatici, anzi qualcuno è proprio antipatico. Addirittura c’è chi ti dà le botte, le spinte e chi ti prende il giocattolo dalle mani. Sarebbe meglio andarci verso le dieci, dopo essersi svegliati da soli. Sarebbe tutta un’altra storia. Adesso che arriva il freddo sotto il piumone si sta veramente bene.
In quelle mattine, nelle quali è dura alzarsi dal letto ma bisogna farlo, una volta alzati diventa molto probabile, quasi certo, dare il peggio di sé per fare qualsiasi cosa. Lavarsi, vestirsi e fare colazione. Sembra quasi una ritorsione. Tu mi hai svegliato ed io mi vendico

Ieri è stata una di quelle mattine. Dall’aprire gli occhi al mettersi il giacchetto per uscire.
Dopo aver consumato tutta la pazienza tra la sua camerina e il bagno, prima di uscire è arrivata l’ennesima sfida di mia figlia con il suo “no” al momento di mettersi il giacchetto. Di fuori mi aspettava una giornata di pioggia quasi torrenziale. Così ho preso tempo e le ho detto “Intanto mi metto il mio”.
Come uno dei lampi del temporale che ci aspettava fuori, d’improvviso ho iniziato a inventarle una storia.
“Lo sai che una volta un bambino che si è messo il cappotto ha perso una mano dentro?” E mentre infilavo la manica il mio cappotto le facevo vedere che la mia mano usciva.
“I genitori cercavano e cercavano ma non riuscivano a trovarla. Né dentro il taschino, né caduta per terra.”
Lei ha iniziato a sorridere.
“Vediamo se riesci a metterti il giacchetto senza perdere le tue mani perché dobbiamo andare all’asilo e ti serviranno tutte e due.”
Così ha preso il suo giacchetto e l’ha indossato, quasi divertendosi, senza fare capricci.
Abbiamo trovato anche il nome, rigorosamente in rima… Adriano, il bambino che aveva perso la mano.
Chissà forse la mia fantasia è ancora allenata dalle letture di Gianni Rodari di tanti anni fa.

mercoledì 29 ottobre 2014

Le bugie dei bambini hanno le gambe corte, cortissime, praticamente gattonano

Una delle cose che mi piace dei bambini è che mentono. In alcuni casi spudoratamente, inventando cose assurde.
Mi piace perché, pur utilizzando molto spesso le bugie, non sanno mentire. E’ facile capire che stanno dicendo una cosa non vera.
E’ un classico, almeno per mia figlia, dire che è stanca, che non può più camminare e che bisogna prenderla in braccio. Per poi vederla correre pochi secondi dopo per aver intravisto in lontananza una sua amichetta.
Per smascherare bonariamente queste bugie, evitando di sfociare in un capriccio, ormai utilizzo un mio sistema personale. Considerando che di solito le dice con la massima serietà, in alcuni casi con la fronte corrugata, o con espressioni degne del più rodato attore di teatro, la guardo e sorridendo le dico: “Vedo i baffi, vedo i baffi… Stai ridendo sotto i baffi, eh”.
Di solito lei resiste qualche secondo. Poi prova a tenere chiuse le labbra ma le si alza un angolo della bocca e tutto finisce in un enorme sorriso. Scoperta la bambina menzoniera. 

Anticipo eventuali domande, purtroppo con gli adulti non funziona. Con gli anni impariamo a mentire meglio. Addirittura alcuni sviluppano una sorta di “faccia di bronzo” che rende più difficile il sorriso. 

giovedì 23 ottobre 2014

Bye bye ruotine della bicicletta

Non saprò mai se e quanto abbia influenzato la bicicletta senza pedali (post). Anche perché, visto il suo poco entusiasmo iniziale, avevamo affiancato anche una classica bicicletta con le ruotine (post). Ultimamente alternava le due bici. Quando uscivamo ne sceglieva una.
Domenica mattina siamo andati a fare una passeggiata e la sua scelta è stata per la bicicletta classica. Rispetto all’altra, muoversi è più faticoso. Tra l’altro qualche buchetta sull’asfalto faceva sì che la ruota posteriore rimanesse sospesa, poggiando sulle ruotine laterali, trasformando la bici in una cyclette da casa. Mia figlia pedalava, la ruota girava ma rimaneva ferma.
Così le ho detto: “Nel pomeriggio proviamo a togliere le ruotine.”
E così è stato. Lei ha preso questa novità con entusiasmo visto che, guardando gli altri bambini, nella sua mente aveva creato il binomio “assenza delle ruotine”- “essere grandi”.
 
Dopo qualche suggerimento su come partire e come fermarsi è andata. Ha iniziato a pedalare un po’ tremolante ma senza fermarsi. Io l’ho guardata con stupore quasi senza credere ai miei occhi. Con lo stesso stupire di quando vidi la scena del film E.T. quando il protagonista che sta scappando in bicicletta si stacca dal terreno e inizia a volare. 
Poi ci siamo spostati nella strada senza sfondo davanti a casa per avere spazio in lungo e largo.
A parte essere intervenuto un paio di volte per evitare lo scontro con auto in sosta e per scongiurare cadute rovinose, in pochi minuti le ruotine erano ormai archiviate come se non ci fossero mai state.
Se penso alla mia infanzia, anche se con più anni rispetto a quelli di mia figlia, la bicicletta ha voluto dire indipendenza e libertà. Andare in bicicletta significava avere la possibilità di muoversi in un raggio di azione molto più ampio. Mi ha dato l'opportunità di esplorare, da solo e con gli amici. Era anche una delle prime occasioni per fare un po’ di movimento.
Un’altra tappa di mia figlia nel suo percorso di autonomia. 

sabato 18 ottobre 2014

Il bambino di Pavlov

Per il 30° anniversario della scomparsa di François Truffaut ripropongo il finale del suo film I quattrocento colpi.

Se qualche genitore con velleità da scienziato sociale pazzo volesse fare l’esperimento di dare un ceffone al proprio figlio ogni volta che si trova nel suo raggio d’azione, anche senza una particolare ragione, scoprirebbe che, dopo breve tempo, vedendolo avvicinare il bambino si porterebbe automaticamente le braccia al volto per protezione. Il cosiddetto “riflesso condizionato”.
Avendo scoperto questo sorprendente automatismo, il genitore scienziato sociale ancora più pazzo potrebbe usare lo stesso metodo per far mangiare la verdura a tavola, per far tenere in ordine la propria cameretta, per farlo andare a letto all’ora giusta, per evitare capricci. Il collegamento tra disobbedienza e dolore fisico diverrebbe indissolubile. Neanche alzando la voce si otterrebbe lo stesso effetto, per non parlare poi di usare delle spiegazioni.  
Pensando al cane di Pavlov, mi rendo conto che in fondo era più fortunato perché almeno riceveva del cibo.
A proposito di cani, ricordo che sono stati vietati i collari elettronici per l’addestramento e mi convinco che non solo quello di Pavlov era fortunato. La motivazione della Corte di Cassazione di tale divieto mi fa letteralmente sgranare gli occhi. Quasi non credendo a quello che leggo, lo trovo incredibilmente applicabile ai metodi educativi bambini (ho barrato la parte vera della sentenza e ho messo tra parentesi le mie aggiunte):
“ […] la somministrazione di scariche elettriche (punizioni corporali) per condizionarne i riflessi ed indurlo tramite stimoli dolorosi (ceffoni) ai comportamenti desiderati produce effetti collaterali quali paura, ansia, depressione ed anche aggressività”.
Incredibile, no? Se l’hanno capito per i cani…

venerdì 10 ottobre 2014

Mai fermarsi a metà della storia, specialmente se è… infinita

Invogliato dagli spunti emersi dalle #booknomination di qualche tempo fa mi è venuta voglia di leggere il libro “La storia infinita”, spinto dal ricordo di uno dei film della mia infanzia a me molto caro e, chissà, forse anche da un po’di nostalgia.
Ho scoperto che il film corrisponde solo alla prima parte del libro. Fino a metà del racconto le parole scorrevano velocemente tra le immagini nella mia memoria. Poi il vuoto. Quella che per me era la fine della storia si è rivelata solo una tappa di un percorso molto più complesso.
Tanti i personaggi, i dialoghi, gli episodi e i significati. Tra i molti messaggi che si possono trarre dal libro io ne faccio mio uno in particolare che si scopre solo nella seconda parte, quella sconosciuta ai più.
Il bambino che abbiamo lasciato alla fine del film come salvatore di Fantàsia nel racconto ne entra a far parte. Il potere della sua fantasia rischia però di farlo rimanere intrappolato nel mondo che ha costruito senza più alcun contatto con la realtà. La creazione di un mondo fantastico rischia di togliergli ogni ricordo del suo mondo reale.
Personalmente credo molto nel potere della fantasia e penso che debba essere coltivata nei bambini. Allo stesso modo sono convinto che essere adulti non significhi aver abbandonato del tutto il mondo della fantasia ma voglia dire riuscire a creare un legame tra mondo reale e fantastico. Senza smarrirsi in un mondo inventato, perdendo qualsiasi contatto con la realtà, e senza arroccarsi nel mondo reale che abbiamo davanti agli occhi abbandonando ogni immaginazione di come vorremmo che fosse.
Ultimamente mi capita di guardare con piacere insieme a mia figlia dei bei film di animazione che cerco di scegliere con cura (qualcuno riconoscerà sicuramente il personaggio disegnato a destra).  
Vi invito a farlo ogni tanto mettendovi comodomente seduti sul divano. Scoprirete come in questi casi il mezzo televisivo non sia in alcun modo “passivo” per i bambini ma, al contrario, favorisca uno scambio tra voi e loro. I vostri figli vi sommergeranno di domande e di osservazioni sulla storia e sui personaggi.

lunedì 6 ottobre 2014

Si sa, i bambini vogliono la mamma

Qualche sabato fa eravamo tutti e tre a fare la spesa in un grande supermercato. 
Mia figlia ed io eravamo fermi vicino a uno scaffalo mentre mia moglie si era allontanata con il carrello. Stanca di aspettare, mia figlia mi dice di voler andare dalla mamma. Io le rispondo di attendere qualche minuto perché l’avevamo persa di vista ma che saremo andati a cercarla dopo pochi minuti. Non fermandosi mai al primo no, mia figlia ci riprova ribadendo di voler andare dalla mamma.
Nel frattempo una signora anziana a pochi passi da noi mi guarda con uno sguardo beffardo e, passandomi vicino con il carrello, mi dice “Non si fida, eh. Vuole la mamma.”

Tutti noi abbiamo dei pregiudizi, l’importante è rendersene conto. Bisognerebbe rendersi conto, inoltre, che i nostri pregiudizi sono come degli occhiali che ci mettiamo davanti agli occhi è che fanno in modo di farci notare intorno a noi elementi che li avvalorino. Così, in un circolo vizioso, troviamo conferma continua di quello che pensiamo.
Immagino la signora che racconterà alle sue amiche, o in famiglia, di aver sentito un paio di frasi della conversazione tra un padre e sua figlia al supermercato che dimostrano che gli uomini ci sanno fare poco con i bambini e che, comunque, i figli vogliono stare con la mamma.

lunedì 29 settembre 2014

A casa arrivano gli echi dell’asilo

E’ inevitabile che casa e asilo si contaminino a vicenda. Sono mondi che in alcuni casi si sovrappongono, in altri addirittura si contrappongono e in altri ancora rimangono del tutto separati.
Gli echi dell’asilo arrivano fino a casa attraverso racconti, più numerosi rispetto all’anno scorso, o semplicemente con espressioni, modi di dire e, per la prima volta, anche con una parolaccia.  
Mi piace ascoltarla quando racconta piccoli scampoli della sua giornata mentre ceniamo. E’ un modo per condividere esperienze durante le quali noi non ci siamo. Serve anche per dare il nostro punto di vista a posteriori su avvenimenti ai quali non abbiamo assistito.
Scopriamo “chi ha spinto chi”, “chi ha preso il gioco di chi”, “chi è stato rimproverato dalla maestra”, “chi ha pianto”.
Sentiamo frasi nuove che in alcuni casi facciamo anche nostre. Come “Buon appetito, piatto pulito” prima di iniziare a mangiare.
Sorridiamo per quel “Fermo immobile” come se si potesse stare fermi muovendosi. Ma quel rafforzativo “immobile” serve perché, si sa, con i bambini tutto è possibile anche stare fermi muovendosi.

Noi ascoltiamo volentieri gli echi dell’asilo… chissà quali saranno quelli che arrivano da casa nostra…

martedì 23 settembre 2014

Il nuovo asse temporale di mia figlia

Mia figlia ha abbinato al "presente" due non meglio definiti stati futuri: “un altro giorno” e “quando sono grande”
Con una sua personale coerenza riesce a classificare in uno di questi tre stati qualsiasi sua azione o desiderio.
Cercando di interpretarla, direi che valgono le seguenti regole:
Il "presente" è il suo stato preferito in assoluto e corrisponde al "tutto e subito". 
Ad esempio: “Voglio uscire ora”, “Voglio giocare adesso con quel giocattolo”.
Gli altri due stati sono una soluzione di ripiego quando non può fare qualcosa che vorrebbe perché non sa o non riesce a farlo o le è vietato da noi genitori. 
Entrando nel dettaglio, se una cosa sa e può farla ma le è stato detto di no viene classificata in “un altro giorno”. Ad esempio di fronte al rifiuto di comprare un giocattolo appena visto in un negozio “Lo compro un altro giorno”.
Se una cosa non sa o non può farla perché non adatta alla sua età viene classificata in “quando sarò grande”. Ad esempio, ultimamente, “Quando sono grande guido io la macchina”, “Quando sono grande cucino io”, "Quando sono grande imparo a fischiare".

mercoledì 17 settembre 2014

Neanche i babbi si salvano dai rimproveri


Ultimamente mia figlia ha riscoperto un pupazzetto carillon, un topino, da portare nel suo lettino per addormentarsi. E’ stato in assoluto il primo regalo, lo comprai in farmacia il giorno in cui lei e la mamma arrivarono a casa dall’ospedale. Ricordo che lo portai a casa, lo legai alla culla e feci partire la musica chissà con quali aspettative. Lei non dimostrò di gradire molto quel suono e il topino rimase come pupazzetto perdendo la sua funzione principale.
Nonostante l’avesse avuto sotto gli occhi tutto questo tempo, per chissà quale strana alchimia, recentemente è sbocciato l’amore.
Lo cerca, lo accarezza e da qualche settimana lo tiene vicino al cuscino e tira la cordicina tante volte prima di addormentarsi. Chi, mamma o babbo, è vicino al suo lettino prima della nanna riceve il prezioso dono del topino con il compito di far ripartire la musica.
Così ieri sera, alla quarta o quinta volta che facevo partire la musica e pensando che ormai si fosse addormentata, ho appoggiato il topino sul lettino per lasciare la stanza.
D’improvviso, senza neanche girarsi, con tono irritato mia figlia mi ha rimproverato: “Babbo, è finita la musica!”
“Va bene, adesso la faccio ripartire” ho risposto.
E lei: “Ma non te le devo dire io queste cose!

sabato 13 settembre 2014

A settembre parte la corsa ai corsi

Con l'inizio di settembre nelle chiacchiere tra genitori spunta un nuovo argomento: i corsi da far frequentare ai propri figli. Non solo per i bambini delle elementari ma addirittura per chi è al nido o all'asilo.
Nelle conversazioni non manca mai il riferimento alla lingua inglese. Anche chi riesce a malfatica ad azzeccare un congiuntivo in italiano o chi si ferma al "My name is", elenca i benefici dell'insegnamento sin dalla più tenera età. Come per dire "Se me l'avessero fatto studiare a me all'asilo, ora farei l'interprete".
A far odiare l'inglese a mia figlia ci ha pensato la Peppa. Pensare di far vedere tre volte di fila uno stesso episodio mi sembra che sia un metodo "educativo" un po' da Arancia Meccanica.
Per non parlare di chi non può far mancare anche qualche ora di sport in quanto favorisce il coordinamento e la disciplina.
Così le agende dei bambini si infittiscono di impegni tali che per stare a casa con i genitori ci vuole quasi un appuntamento da pianificare con largo anticipo.

Lo canta anche la protagonista de "Le tagliatelle di Nonna Pina": "... invece oltre la scuola cento cose devo far, Inglese, pallavolo e perfino latin-dance e a fine settimana non ne posso proprio più..."
 

lunedì 8 settembre 2014

Bambini a contatto con la natura

Molto spesso i nostri figli hanno un'idea della natura che deriva principalmente dai cartoni animati. Dove gli animali sono antropoformi, stanno in posizione eretta, sono carini, hanno un aspetto curato e pulito. Non si sentono gli odori dalla televisione ma qualcuno potrebbe immaginare che siano anche profumati.

Così, per quanto possibile, cerco di fare aver a mia figlia un contatto il più possibile diretto con la natura. 
In questa estate piovosa, ad esempio, quando smetteva di piovere e i giochi del parco erano bagnati coglievamo l'occasione di una passeggiata per andare a vedere le chiocciole.
A quell'età tutto è una scoperta. E poi i bambini sembrano avere un'attrazione particolare per gli animali.
Nelle fiere di paese succede spesso di riuscire a vedere da vicino gli animali delle fattoria. Non c'è bisogno di specie esotiche per incuriosire un bambino. Basta un pulcino. 
L'entusiasmo di mia figlia è passato velocemente dalle stelle alle stalle, è proprio il caso di dirlo, quando ha sperimentato in prima persona che i maiali puzzano. Li guardava tappandosi il naso con le dita. Eh sì, sono maiali veri, non sono Peppa e George!
L'esperienza sul campo favorisce l'attenzione e la curiosità porta a fare decine di domande. 
"Perché gli asini hanno la coda?"
"Perché le mosche stanno sulle mucche?"
"Dov'è il babbo di quel pulcino?" 

Ricordo che lo scorso anno nel periodo di Natale siamo andati a fare un giro e abbiamo deciso di visitare uno zoo che c'era da quelle parti.
Dopo pochi metri dall'entrata c'era una renna in un recinto. 
Mia figlia mi ha guardato e mi ha chiesto "Babbo, perché la renna di Babbo Natale è rinchiusa?"

lunedì 1 settembre 2014

Quando io e Jovanotti saremo vecchi

“La vecchiaia è una brutta cosa.” Me lo diceva mia nonna con quel tono un po’ irriverente, ironico e dissacrante che si respira in alcune parti della Toscana, dove si impara sin da piccoli il gusto della battuta. Dove si apprende, solo per il fatto di stare con gli altri, che si può parlare di qualsiasi argomento anche a costo di apparire un po’ cinici. Nessuno si salva, né fanti né santi.
Così anche io quando i miei genitori si lamentano dell’età che avanza dico loro che l’alternativa è sicuramente peggiore. Chissà, forse è un solo modo per esorcizzare.
C’è chi dice che non si possa ragionare sulle cose senza averle vissute veramente. E che, quindi, non si possa parlare della vecchiaia senza averne provato gli acciacchi e le sensazioni sia fisiche che psicologiche.
Allo stesso modo, probabilmente è inutile da genitore tentare di ragionare da nonno anche se, secondo me, ognuno si porta dietro negli anni e nella vita le proprie caratteristiche.
Ma, come dicevo prima, per il mio essere "bastian contrario" non posso non rilevare comportamenti che mi appaiono così estranei.
I nonni hanno bisogno di un contatto fisico. Ti devono dare e avere un bacio, non basta il gesto. No, ci vuole il bacio sulla guancia. Come nella scherma, se non c’è il tocco, non c’è il punto nella graduatoria dell'affetto. Ti devono dare una carezza sulla testa. Fortunatamente non siamo in oriente dove non si deve mai toccare la testa dei bambini. Chissà se questa fisicità è collegata agli anni che passano. Ma, nel caso dei bambini, è come provare a chiudere l’acqua in un pugno, non si trattiene. I bambini sono su un treno che parte mentre noi siamo fermi alla stazione, non c’è niente da fare.       
I nonni "aspettano la telefonata". Devono sentire la voce al telefono e impostare una telefonata come se stessero parlando con un adulto. Neanche il tempo di una risposta che già sono alla domanda successiva. Inutile che un bambino sia ancora troppo piccolo per collegare una vocetta che esce da un pezzo di plastica a uno dei nonni.
Ai nonni non basta “Un gettone per le giostre e poi basta”. Se sono di più è meglio. Lo sanno anche loro che l’affetto non si moltiplica per il numero di gettoni ma tant'é. Comunque non si sa mai, magari ci sono leggi del cuore che ancora non conosciamo.
I nonni ti devono dare un bocconcino dal loro piatto. Indipendentemente dal fatto che il cibo sia lo stesso di quello che sta mangiando il nipote o sia qualcosa assolutamente da adulto, tanto è un solo un pezzettino. Neanche stessero dando un bicchiere d’acqua a un disperso nel deserto salvandogli la vita.
I nonni hanno tutto il tempo e la pazienza che non hanno voluto avere da genitori. 

Ovviamente non tutti i nonni, ma tanti. Ne potrei scrivere chissà quante altre ma, come dicevo prima, c’è chi dice che non si possa ragionare sulle cose senza averle vissute veramente. Che siamo tutti destinati ad assumere, e io per primo, quei comportamenti che ho stigmatizzato poco sopra.
Io mantengo i miei dubbi e ascolto Jovanotti…