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giovedì 28 gennaio 2016

Anche mamma e papà sono stati bambini

Mia figlia è molto incuriosita dalla nostra vita prima della sua nascita. Ad esempio dei viaggi fatti e delle città visitate. Ma ancora di più dal fatto che anche il suo babbo e la sua mamma sono stati bambini.
Così qualche giorno fa abbiamo provato a fare un salto nel passato. Ho anche chiesto ai miei genitori che ci inviassero alcune foto in cui io sono piccolo e loro giovani. Ebbene sì, esistono anche la posta non elettronica e le foto non digitali. 

L’ho vista quasi emozionata dall'avere sotto gli occhi la testimonianza che i suoi genitori sono stati bambini e i nonni sono stati giovani.
Ad essere sincero, anche per me c’è stata un po’ di emozione. Nel ricomporre nella mia memoria i volti dei miei nonni, che il tempo stava un po’ sbiadendo. Nel vedere i miei genitori con molti anni in meno sorridere insieme a me davanti alla torta di uno dei miei primi compleanni. 
La classica foto che tutti hanno avuto, e che tutti avranno, e che sembra rappresentare, al di là dei tempi, che tutti i momenti felici si assomigliano (parafrasando Tolstoj).     

martedì 22 settembre 2015

Un racconto breve per parlare di #bullismo

Per trattare di un argomento che ci tocca direttamente non c’è niente di meglio che farlo con un racconto. 
Questo perché attraverso i personaggi e le situazioni della storia riusciamo meglio ad aprirci e, senza dichiararlo apertamente, a parlare di noi, delle nostre esperienze, dei nostri pensieri, delle nostre paure, delle nostre preoccupazioni e delle nostre speranze. 
Il racconto è quella maschera di cui parlava Oscar Wilde che ci permette di dire la verità.

Per questo che ho scritto questo racconto breve nella speranza che venga letto dai ragazzi e dalle ragazze e che possa favorire una discussione sul tema del bullismo
Perché è proprio del silenzio che si nutrono questi fenomeni.

Chi vuole leggerlo può trovarlo alla seguente pagina FB:
 
Buona lettura! E se vi piace, fatelo girare...

sabato 8 agosto 2015

Quelle terribili minacce dei genitori che funzionano solo perché i bambini non sanno che sono irrealizzabili

In spiaggia sento continue minacce dei genitori per far uscire i bambini dall'acqua. Un classico. Dopo l'ennesimo “ultimo tuffo e arrivo”, che non è mai veramente l'ultimo, l'arma utilizzata è quella della prospettiva di un castigo imminente.
Esci, altrimenti poi non ti compro il gelato!” per chi punta sull'aspetto goloso.
Esci, altrimenti poi ti senti male” per chi punta sulla salute.
Esci, altrimenti poi vedrai” per chi vuole lasciare all'immaginazione dei figli.
I più disperati sfruttano la strategia del terrore e arrivano a usare minacce che suonano terribili solo perché i bambini non sanno che sarebbero irrealizzabili.
Esci, altrimenti torniamo subito a casa!”.
Mi immagino chi magari ha fatto più di cinque ore di auto, lasciando l'asfalto bollente della città, per arrivare in una località di mare per le sue sole due settimane di ferie estive.
Io li sento e rido sotto i baffi. Quasi quasi vado lì e spiffero la verità ai bambini.
Poi guardo mia figlia saltare a riva sulle onde, penso che tra poco dovrò dirle che è ora di venire ad asciugarsi e prevale su tutto la solidarietà tra genitori.

lunedì 6 luglio 2015

Come spiegare a mia figlia che il mondo intorno a noi può sembrare una scenografia di cartapesta

Qualche sera fa ho spento a tarda ora la tv dopo aver visto una delle tante trasmissione di approfondimento. Mi aveva colpito molto l’intervista a un’immigrata clandestina che, alla domanda di cosa si fosse aspettata dall’Europa, ricordava la pubblicità del cibo per gatti nel quale aveva visto un gatto mangiare in un piatto. Un’immagine emblematica per una persona che deve lottare quotidianamente per avere del cibo. Non credo che potremmo mai veramente capire certe sensazioni.  
Mi è tornato alla mente il libro “La città della gioia”, che consiglio vivamente a chi non l’ha letto, nel quale un bambino di quello che chiamavamo Terzo Mondo, abituato a dover cercare l’acqua per bere, rimane profondamente stupito nel vedere che nelle città europee esistono fontane che spruzzano acqua.

Come sempre, prima di mettermi a dormire mi sono affacciato alla cameretta di mia figlia per darle l’ultima occhiata della giornata, di solito c’è da riprendere il cuscino caduto a terra.
Forse per questo caldo soffocante arrivato all’improvviso, contro il quale sembrava essersi arreso anche il ventilatore, faticavo a prendere sonno. Mi sono messo a riflettere su quanto sarà difficile spiegare a mia figlia il mondo nel quale viviamo. A rifletterci bene, sembra che stiamo vivendo in un finto scenario. In un Luna Park, almeno per noi e non so ancora per quanto, nel quale in realtà quello che ci circonda è fatto di cartapesta. Basta guardare dietro per vedere la struttura posticcia.
Viviamo in un’economia al di sopra delle nostre possibilità, che sta in piedi solo attraverso artifici a scapito di altri. Propagandiamo agli altri il liberismo estremo quando noi, per stare in piedi, siamo pieni di blocchi e sussidi. Alziamo muri alti per difendere i nostri privilegi dall’arrivo di altri che potrebbero ridimensionarli. Non ci rendiamo conto che non riusciremo mai a fermare chi si muove avendo come unica altra alternativa la morte. 
Ci piace riempirci la bocca di slogan e non neghiamo mai a nessuno l’invio di un sms a sostegno di questa o quella raccolta fondi. Basta, poi, poter tornare alla nostra vita di sempre.
Vogliamo poter cambiare televisione, cellulare, computer e tablet alla prossima promozione senza dover pensare a come sono prodotti o a dove andranno a finire tutti i nostri scarti. Vogliamo poter dormire sonni tranquilli.
Vorrei riuscire a trovare un modo per spiegare tutto questo a mia figlia. La maniera giusta, sperando ce ne sia almeno una, che le permetta di prendere coscienza di certi argomenti, sviluppando una certa sensibilità su questi temi, senza che questo le faccia sentire sulle spalle tutto il peso del mondo. Un modo che le apra gli occhi su quello che succede anche solo a pochi chilometri di distanza da casa sua.
Perché sappia che la vita del suo compagno di asilo nato in Africa non è uguale a quella degli altri bambini che crescono e vivono lì.

martedì 9 giugno 2015

Quella paura dei genitori per la sensibilità dei figli

C’è un nuovo spauracchio che circola ultimamente tra i genitori. Non è una mia particolare percezione, ne sento proprio parlare: il timore dei genitori nei confronti della sensibilità dei figli. Se ne parla sempre in un’accezione negativa, come di un possibile problema per il futuro.
Leggiamo ai nostri figli libri che trattano la diversità e la ricerca delle proprie caratteristiche, li portiamo a vedere film che dovrebbero mostrare l’importanza di seguire la propria personalità ma poi quando chiudiamo il libro o quando usciamo dalla sala, se non già ai titoli di coda, pensiamo già di tornare alla vera realtà.     
Inutile nascondersi, dobbiamo affrontare il nostro quotidiano. Spiace dirlo, ma sono in particolare i papà a toccare questo argomento, specialmente se hanno un figlio. Ahimé, si potrebbe dirla usando le parole della famosa canzone Father & Son “E' sempre la stessa vecchia storia”. Sempre lo stesso vecchio contrasto tra come vorremmo che fossero i nostri figli e come sono, o saranno, veramente.   
La sensibilità sembra un campanello d’allarme che suona nelle orecchie dei genitori per avvertirli di una futura debolezza o incapacità di farsi rispettare. Alcune volte mi capita di sentire genitori dire, quasi come se si scusassero: “Sai, è un po’ timido”.

Credo che come adulti stiamo vivendo in modo molto forte, forse troppo, la percezione di un mondo ostile, di una società diventata ormai a beneficio del “più forte” e del “più furbo”. Un mondo nel quale, finito il tempo dell’associazionismo di vario livello e tipologia nel quale era più facile sentirsi parte di un gruppo solidale, conta ormai solo l’individualismo. Sembra che il motto dominante sia “morte tua, vita mia”.
In un momento storico in cui i posti di lavoro sono pochi e molto spesso precari, sentiamo che la corsa al proprio posto al sole debba essere senza esclusioni di colpi e, una volta raggiunto, da difendere con le unghie e con i denti.

Così, con una visione un po’ schizofrenica, vorremmo che i nostri figli fossero:
  • educati, quanto basta per non sfigurare nel nostro ruolo di genitori, ma sfrontati nelle occasioni giuste.
  • leader con i compagni ma non ribelli, così da non avere pensieri quando sono fuori casa.
  • bravi studenti a scuola ma non i primi della classe per non essere additati come “secchioni”.
  • non particolarmente paurosi ma neanche con disprezzo del pericolo.
  • con il loro carattere ma in linea con le nostre aspettative.
Ma come sono, e come saranno, i nostri figli?

lunedì 11 maggio 2015

Alcuni modi per uscire dalla cameretta di vostro figlio quando si è appena addormentato

Il sistema antiuscita a infrarossi di mia figlia
Chi ha bambini sa quanto sia difficile uscire dalla loro stanza dopo che si sono appena addormentati. 
Sembra, quasi, che abbiano un piccolo pulsante, nascosto chissà dove nel loro letto, che premono appena sentono che gli occhi si stanno per chiudere. Il congegno attiverebbe un sistema di rilevazione a infrarossi davanti alla porta della loro camera per controllare che tu non esca.  
Basta il minimo rumore come lo scrocchiare delle ginocchia, un lieve cigolio del parquet o semplicemente struciare lungo il muro per vedere aprire improvvisamente gli occhi come se fosse appena scoppiata una bomba a pochi centrimenti dal loro cuscino.
Nel giro di qualche secondo scopri se sei stato scoperto perché senti una vocina stizzita che ti richiama all’ordine: “Babbooooooo” o “Mammaaaaaaa”.
Non puoi considerare passato il pericolo neanche dopo essere uscito dalla stanza. Sembra che riescano a percepire lo spazio vuoto occupato dal tuo corpo fino a pochi minuti prima.

Credo che ogni genitore sviluppi proprie teniche di allontanamento dal letto dei propri figli nel modo più silenzioso possibile.
Mi sono divertito a individuare alcune modalità che permettono di uscire dalla cameretta minimizzando i possibili rumori: 
  • la modalità “vogatore”: chi sta seduto accanto al lettino può uscire rimanendo in quella posizione e spostandosi con l'aiuto delle gambe e delle braccia come si fa con il vogatore.  
  • la modalità “gobbo di Notre-Dame”: uscire camminando con la schiena e le gambe piegate pensando che la posizione curva sia più silenziosa di quella eretta. 
  • la modalità “mimo”: uscire dalla stanza compiendo i normali movimenti ma a rallentatore. 
  • la modalità “moonwalker”: provare a uscire camminando all’indietro guardando il bambino. Questo permette di percepire eventuali movimenti delle sue palpebre per fermarsi al primo movimenti evitando che li apra definitivamente. 
  • la modalità “passo del giaguaro”: uscire distesi a pancia in giù, al di sotto della linea del letto, riducendo al minimo le probabilità di essere intercettati. Tratta dalle tecniche di addestramento militare, in questo caso è proprio una “guerra” per il sonno. 
  • la modalità “Matrix”: superare le leggi conosciute della fisica per fare movimenti veloci senza fare alcun rumore, riuscendo anche a fermarsi a mezz'aria. Non tutti possono raggiungere questa tecnica. Leggenda vuole che, al di là dell’impegno, sviluppino certe capacità solo i genitori di gemelli numerosi (dai quattro in su).
Ah, quasi dimenticavo. Un ultimo consiglio preziosissimo: mai e poi mai sedersi sul loro lettino o, ancora peggio, sdraiarsi. Perché in quel caso, prima di usare le tecniche appena illustrate, dovrete alzarvi dal loro letto. E non potete rendervi conto di quanti rumori fareste.

martedì 28 aprile 2015

Avere il coraggio di dire ai nostri figli che certe cose costano fatica

Lo scorso 23 aprile è stata celebrata la Giornata mondiale del libro. Tra le tante iniziative c’era #ioleggoperché che aveva l’obiettivo di far avvicinare alla lettura il maggior numero di persone regalando copie di libri più o meno famosi.
Mi sono fermato a riflettere sul fatto che bisogna essere onesti nel dire che leggere è faticoso. Chi legge sa quanto sia bello farlo, per tante ragioni. Può essere meraviglioso ma questo non significa che non richieda impegno.
Lo dico perché in un mondo che ormai si muove a velocità sempre maggiori, nel quale le notizie diventano vecchie dopo pochi minuti, con applicazioni che ti fanno avere “tutto e subito” può sembrare che parlare di libri sia quasi anacronistico. Come dei moderni Don Chisciotte che lottano contro mulini a giga, ops a vento.
Dobbiamo essere sinceri con i nostri figli facendo capire loro che non tutto potrà essere semplice e veloce ma, che certi risultati richiedono tempo e fatica. Sembra che oggi "fatica" sia quasi una parolaccia, in un momento dove tutti cercano di ammiccare ai bambini e ai ragazzi cercando di proporre soluzioni gradite quasi per ottenere il maggior audience possibile. E’ importante motivare e coinvolgere ma questo non significa indicare sempre la via più facile in quanto potrebbe non consentire di ottenere l’obiettivo che si vuole raggiungere.
Così facendo gli adulti dimostrerebbero ancora una volta di abdicare al loro ruolo, per apatia o per un senso di sfiducia.  
Bisogna avere il coraggio di dire ai nostri figli che per certe cose dovranno faticare ma che vale la pena farlo. Ma dobbiamo essere noi i primi a esserne convinti.
Come non pensare alla tanto bistrattata scuola, alla necessità di stare a casa a fare i compiti anche quanto i bambini, ma in molti casi gli stessi genitori, vorrebbero uscire. Alla necessità di studiare a memoria, anche se con pochi click si ha la sensazione di conoscere qualsiasi argomento, o di leggere un libro, anche se ne è stato fatto un bellissimo film con un protagonista da Oscar.

Se non riusciremo a far capire lo scopo di quell’impegno avremo fallito il nostro ruolo educativo e, usando un gioco di parole, Facebook vincerà sempre sui book.

lunedì 20 aprile 2015

“I bambini sanno” e “I bambini pensano grande” ma non sono dei piccoli guru

C’è molta attenzione nei confronti del mondo dei bambini, lo testimoniamo i tanti libri e blog. Recentemente il docufilm “I bambini sanno” e il libro “I bambini pensano grande” hanno acceso un riflettore e, soprattutto, un microfono sul mondo dei bambini dando loro visibilità e voce.
C’è il rischio, però, che si guardi ai bambini come a degli idiot savant, che noi consideriamo non al nostro pari ma che, per chissà quali ragioni, possono darci risposte illuminanti. O che si sfoci nel mito del “buon selvaggio”, in questo caso del “buon bambino”, secondo il quale i bambini sono intrinsecamente buoni non essendo ancora corrotti dalla società e dal mondo degli adulti.
Credo che sia emblematica la frase detta da uno dei protagonisti e inserita nella locandina del film: “Spero che lo vedano i nostri genitori, così ci capiranno meglio” che denuncia il fatto che i genitori ascoltano poco i figli. Chi legge il libro o vede il film si rende conto di quanto hanno da dire i bambini, senza che questo debba necessariamente tradursi in perle di saggezza e senza farne dei giovanissimi guru. E’ un messaggio indirizzato soprattutto a chi ha a che fare con loro quotidianamente: genitori sempre di corsa e troppo impegnati a dare un futuro ai propri figli, o insegnanti pressati da programmi da rispettare, per avere anche il tempo di ascoltarli.
Penso che l’obiettivo principale di queste opere, o almeno quello che gli attribuisco io, sia di sensibilizzare gli adulti a un maggior rispetto e ascolto nei confronti del mondo dei bambini qualsiasi cosa abbiano da dirci e senza aspettarci necessariamente spiegazioni sul senso della vita. Un ascolto che non sia passivo ma che si traduca in un dialogo tra generazioni perché, diversamente dai bambini, sono gli adulti ad avere gli strumenti per costruire e modificare la società in cui vivono.
Sarebbe interessante sentire cosa avranno da dire tra dieci anni gli stessi bambini intervistati oggi da Veltroni.

lunedì 1 dicembre 2014

Camminare facilita il dialogo #camminarparlando

Ultimamente mi capita più spesso di camminare insieme a mia figlia. Crescendo si stanca meno e ormai il passeggino è stato abbandonato.
Ad esempio, qualche sera fa mentre andavamo a piedi in biblioteca ho iniziato a parlare del fatto che quella mattina aveva fatto tante storie per alzarsi dal letto. Durante il percorso ci siamo confrontati e scontrati: “La mattina sono stanca”, “La sera non vorresti mai andare a letto”, “Puoi fare il riposino all’asilo”, “Ci sono bambini che non mi fanno dormire”…
Oppure, approfittando del caldo sole che ancora ci concede questo autunno, qualche pomeriggio fa siamo usciti e abbiamo fatto una camminata veramente lunga. Tanto che io ogni tanto dicevo “Ricordati che dobbiamo tornare indietro a piedi” e lei ribattevate “Sì, lo so. Ma voglio arrivare laggiù”. Così tra un “Lo sai come si chiama questo albero?” e un “Perché i cani abbaiano?” ho colto l’occasione per buttare lì qualche domanda sull’asilo, sui suoi amichetti, su quello che le piace di più o di meno.

Non ho elementi scientifici per affermarlo ma, mi sembra, che passeggiare insieme favorisca il dialogo. Sembra che venga più facile chiacchierare, raccontare e ascoltare.
Non so se camminando ci si rilassi o l’impegno fisico, più lieve rispetto alla corsa ma comunque presente, rilasci qualche sostanza nel nostro organismo e ci renda più predisposti a parlare rispetto a essere seduti da qualche parte. 
Non so se dipenda dal fatto che camminando il nostro sguardo sia normalmente rivolto verso la strada e solo ogni tanto ci si guardi. Alcune volte viene meglio parlarsi senza guardarsi negli occhi, forse per pudore. 
Non so se esistano spiegazioni... ma mi piace molto camminar parlando.