mercoledì 29 luglio 2015

Il contagio positivo tra bambini


Quando parliamo di contagio tra bambini siamo abituati a pensare immediatamente alle malattie. Ricordo ancora con terrore i biglietti che attaccavano alla porta del nido di mia figlia con gli avvisi dei casi contagiosi che si erano verificati.
Esiste anche un altro tipo di contagio, che potemmo definire sociale, quello dei comportamenti
Tutti i genitori sanno bene come, nell’educazione, i comportamenti abbiano un valore incommensurabilmente più alto rispetto a qualsiasi parola detta ma il comportamento degli altri bambini vale ancora di più
I nostri figli vedono il comportamento degli altri bambini e ne sono inevitabilmente influenzati, nel bene e nel male.
 
Ne ho toccato con mano gli effetti, fortunatamente solo quelli positivi, mentre ero in vacanza all’estero.
Eravamo in fila per acquistare i biglietti di ingresso per un’escursione in Slovenia e davanti a noi avevamo dei bambini con il loro zainetto e con la loro bottiglietta d’acqua che spuntava dalla retina. Camminavano tranquillamente senza lamentarsi ogni due secondi o chiedendo a ripetizione “Ma quando arriviamo?”. Si godevano l’esperienza che risultava affascinante anche agli occhi di un bambino visto che si trattava di un’esplorazione nel bosco tra rapide e cascatelle, pesci e tratti su ponti di legno.
Influenzata dall’esempio di questi bambini, mia figlia ha fatto tutto il percorso, si è divertita e ha concluso dicendo che d’ora in poi vorrà avere un suo zainetto per portare da sola le sue cose.
Il contagio positivo ha anche una valenza di acceleratore dell'autonomia.

C’è però una grande controindicazione, il contagio vale anche al contrario, ovvero in negativo, in particolare per le bizze. Rimane un’unica soluzione, una selezione di bambini da frequentare. Sperando che non siano proprio in nostri figli quelli che danno il cattivo esempio…

lunedì 6 luglio 2015

Come spiegare a mia figlia che il mondo intorno a noi può sembrare una scenografia di cartapesta

Qualche sera fa ho spento a tarda ora la tv dopo aver visto una delle tante trasmissione di approfondimento. Mi aveva colpito molto l’intervista a un’immigrata clandestina che, alla domanda di cosa si fosse aspettata dall’Europa, ricordava la pubblicità del cibo per gatti nel quale aveva visto un gatto mangiare in un piatto. Un’immagine emblematica per una persona che deve lottare quotidianamente per avere del cibo. Non credo che potremmo mai veramente capire certe sensazioni.  
Mi è tornato alla mente il libro “La città della gioia”, che consiglio vivamente a chi non l’ha letto, nel quale un bambino di quello che chiamavamo Terzo Mondo, abituato a dover cercare l’acqua per bere, rimane profondamente stupito nel vedere che nelle città europee esistono fontane che spruzzano acqua.

Come sempre, prima di mettermi a dormire mi sono affacciato alla cameretta di mia figlia per darle l’ultima occhiata della giornata, di solito c’è da riprendere il cuscino caduto a terra.
Forse per questo caldo soffocante arrivato all’improvviso, contro il quale sembrava essersi arreso anche il ventilatore, faticavo a prendere sonno. Mi sono messo a riflettere su quanto sarà difficile spiegare a mia figlia il mondo nel quale viviamo. A rifletterci bene, sembra che stiamo vivendo in un finto scenario. In un Luna Park, almeno per noi e non so ancora per quanto, nel quale in realtà quello che ci circonda è fatto di cartapesta. Basta guardare dietro per vedere la struttura posticcia.
Viviamo in un’economia al di sopra delle nostre possibilità, che sta in piedi solo attraverso artifici a scapito di altri. Propagandiamo agli altri il liberismo estremo quando noi, per stare in piedi, siamo pieni di blocchi e sussidi. Alziamo muri alti per difendere i nostri privilegi dall’arrivo di altri che potrebbero ridimensionarli. Non ci rendiamo conto che non riusciremo mai a fermare chi si muove avendo come unica altra alternativa la morte. 
Ci piace riempirci la bocca di slogan e non neghiamo mai a nessuno l’invio di un sms a sostegno di questa o quella raccolta fondi. Basta, poi, poter tornare alla nostra vita di sempre.
Vogliamo poter cambiare televisione, cellulare, computer e tablet alla prossima promozione senza dover pensare a come sono prodotti o a dove andranno a finire tutti i nostri scarti. Vogliamo poter dormire sonni tranquilli.
Vorrei riuscire a trovare un modo per spiegare tutto questo a mia figlia. La maniera giusta, sperando ce ne sia almeno una, che le permetta di prendere coscienza di certi argomenti, sviluppando una certa sensibilità su questi temi, senza che questo le faccia sentire sulle spalle tutto il peso del mondo. Un modo che le apra gli occhi su quello che succede anche solo a pochi chilometri di distanza da casa sua.
Perché sappia che la vita del suo compagno di asilo nato in Africa non è uguale a quella degli altri bambini che crescono e vivono lì.

mercoledì 1 luglio 2015

I papà “fai-da-te”

https://www.facebook.com/leroymerlinitalia/videos/vb.197674819270/10153455568039271/?type=2
I papà sono entrati ormai a pieno titolo anche nelle pubblicità. E non per ironizzare sulla loro presunta incapacità di affrontare la vita con i figli, è un classico ormai superato il padre che non riesce a cambiare i pannolini, ma per valorizzarne la figura. Questo avviene anche per pubblicizzare prodotti tipicamente maschili non legati al mondo dei bambini, come ad esempio le auto, per i quali si usano spesso immagini legate al rapporto tra un padre e un figlio. Si va anche oltre, quindi, al primo periodo dell'arrivo del bambino piccolo per arrivare all'adolescenza e oltre.
Adesso ci faccio più caso quando vedo passare una pubblicità con protagonista un papà. L'ultima che ho visto è quella di Leroy Merlin che tratta di un padre alle prese con il figlio adolescente. Mi sembra che colga la normale difficoltà di comunicazione tra padri e figli durante l'adolescenza, sicuramente il momento più critico nella crescita, evidenziando l'importanza di “creare” occasioni di contatto e di dialogo all'interno della famiglia. Credo molto nell'efficacia di questo metodo e, nonostante mia figlia sia ancora piccola, cerco di ritagliare spazi che possano favorire un confronto e che consentano di raccontarsi e ascoltarsi. Questo va ben oltre il semplice stare insieme e non si esaurisce con la domanda “Come va?” che di solito è seguita da un laconico “Tutto ok”.
Dopo i primi anni di vita di mia figlia sono arrivato alla conclusione che il “fai-da-te” identifichi proprio il lavoro dei genitori che al di là dei libri e delle indicazioni dei professionisti, psicologi o pedagogisti, che si possono leggere e ascoltare, un padre e una madre devono rimboccarsi le maniche per trovare soluzioni, adattando qualsiasi consiglio alla propria realtà familiare e prendendo le giuste misure dei propri figli.

Con mia figlia, che è sempre curiosa di quello che le accade intorno, mi capita di utilizzare proprio il “fai-da-te” a casa come una delle tante occasioni per stare insieme. Come mi vede prendere la cassetta degli attrezzi si propone subito come aiutante, sia per vedere cosa sto per fare che per avere l’occasione di usare qualche attrezzo.
Così cerco sempre di trovare qualche attività sicura da farle fare per premiare questa sua intraprendenza e per farle sviluppare un po’ di manualità. Può sembrare strano per un adulto ma anche il semplice girare un cacciavite per un bambino implica coordinamento, attenzione e precisione. Mi fa piacere vedere la soddisfazione nei suoi occhi quando riesce a compiere uno dei compiti che le ho assegnato. Mi sembra che, tra l’altro, si riesca a creare uno spirito di squadra attraverso il quale impara ad ascoltare le spiegazioni, capisce che non può fare tutto da sola e inizia ad apprendere anche ad essere paziente visto che alcune cose necessitano di un po’ di pratica e non si sanno fare immediatamente.