martedì 28 giugno 2016

“La versione di Barney”

E' innegabile quanto le scelte dei genitore ricadano sui figli, da quelle più importanti a quelle più banali. C'è un periodo entro il quale i figli non possono fare altro che subirle e muoversi nel solco tracciato dalla loro famiglia. Oltre una certa età, che varia per ognuno, per alcuni arriva prima, per altri arriva dopo, per altri ancora, ahimé (dico io), non arriva mai, i figli potranno dare l'impronta che vorranno alla loro vita. Liberi di allontanarsi, più o meno, da quanto vissuto fino a quel momento. 
 
Ho sempre pensato che sarei stato in grado di spiegare a chiunque le decisioni prese solo se effettivamente fossero state le mie. Non potrei riuscire a dare voce a scelte fatte seguendo semplicemente l'indicazione di altri. Ho sempre messo in conto l'errore o l'imprevisto. E' per questo che pur chiedendo consigli, per avere punti di vista diversi, ho sempre cercato di arrivare ad una mia scelta convinta.

Così sarò capace di chiarire a mia figlia certe scelte fatte che, necessariamente, hanno condizionato, condizionano e condizioneranno anche la sua vita. Questo non significa che sarò capito o, tanto meno, che lei le condividerà ma sono sicuro che almeno saprò di poter dare la mia versione.

martedì 21 giugno 2016

I nostri figli avranno più ricordi di noi?

Credo che uno dei modi per tenere vivi i ricordi, anche lontani, sia di averne testimonianze concrete come ad esempio delle foto. Me ne sono reso conto qualche settimana fa quando andando in biblioteca con mia figlia ho trovato un vecchio libro. La copertina e le illustrazioni interne hanno riacceso il ricordo, ormai dimenticato, di una delle mie letture delle elementari.
Ai miei tempi, ahimè è il caso di dirlo, una foto era riservata ad un evento particolare, da immortalare, come un compleanno, una vacanza al mare, la neve o una gita.
Oggi, invece, con la complicità dell'evoluzione della tecnologia, fare una foto è qualcosa che rientra nel quotidiano, che ha perso quell'aurea di sacralità.
Mia figlia, nonostante i suoi pochi anni di vita, ha già tantissime foto. Ogni tanto le riguardiamo, per rivederci, chi più piccola, lei, e chi più giovani, noi.
Chissà se mia figlia riuscirà a fissare meglio di me i ricordi di alcuni momenti della sua infanzia o, invece, le foto saranno così tante da essere troppe e, come si dice, troppe informazioni equivalgono a nessuna informazione.
Forse alla fine anche a lei rimarranno impresse solo una decina di foto. Come quella con un suo taglio di capelli particolare, magari con la frangetta tagliata a casa, o quella dove si vede la sua mamma che la tiene in braccio pochi giorni dopo il parto, quella di una giornata in vacanza in piscina con il suo babbo con cuffiette e occhialetti davvero buffi o quella con le sue migliori amiche ad una festa di compleanno truccate da principesse.

domenica 12 giugno 2016

Strani luoghi le panchine

Una parte della festa finale del ciclo della scuola dell'infanzia si è svolta nel giardino dove mia figlia ha frequentato il nido. Mi è capitato di fermarmi vicino alla panchina dalla quale, quasi cinque anni fa, la guardavo una delle mattine del suo inserimento. Ad essere sinceri, era un po' l'inserimento di entrambi.
Ricordo il bambino addormentato sull'altalena nonostante alcuni compagni gli girassero intorno toccandogli le guance. Ricordo il bambino che mi si avvicinò guardandomi con un enorme ciuccio in bocca. Ricordo che osservavo quei giochi in giardino cercando di individuare eventuali pericoli. Ricordo che lanciavo occhiate severe ai bambini grandi, mia figlia era una dei più piccoli, che sfrecciavano nella macchinine lungo il vialetto.

Pensavo al fatto che le panchine sono luoghi strani. Per gran parte del tempo senza nessuno seduto sopra. 
Un luogo dell'attesa, per chi sta aspettando qualcuno. E rimarrà seduto giusto il tempo dell'arrivo dell'altro.
Un luogo del ricordo e della malinconia, per chi non ha tanto da fare. Per gli anziani seduti per passare il tempo, chiacchierando e ricordando il tempo passato.
Ma anche un luogo per parlare del futuro. Come per i ragazzi seduti sulle panchine a fantasticare ed immaginare come vorrebbero fossero le loro vite.
Davvero strani luoghi le panchine.

lunedì 6 giugno 2016

Il “Vaffa” vola mentre il “Per favore” cammina piano.

Una delle inevitabili conseguenze di frequentare l’asilo sono le parolacce. Non so se dipenda dai bambini che hanno i fratelli più grandi o da quelli che le sentono a casa direttamente dai genitori.
E’ un dato di fatto, i cattivi esempi si propagano a vista d'occhio tra i bambini. Mi vengono in mente le tessere del domino messe una accanto all’altra, basta una piccola spintarella per far partire una reazione a catena su tutte le altre. I buoni esempi, al contrario, si muovono lentamente. Rispetto alla tesserina del domino, è come voler spostare uno dei monoliti di Stonehenge.

Mia figlia, ben sapendo già la risposta, ogni tanto ripete una delle parolacce sentite all’asilo, e mal celando un sorrisetto, mi chiede: “Ma xxxxx si può dire?”.
In altri momenti della giornata, per il gusto di ripetere quelle parole che non si dovrebbero dire, ritorna sull’argomento: “Ma tra xxxxx e yyyyyy, qual è quella più brutta?”. 

Non c’è gara, il “Vaffa” vola alla velocità della luce rispetto al pacifico e tranquillo “Per favore” che cammina senza affannarsi.    
C’è solo da sperare nel detto “Chi va piano, va sano e va lontano…”