mercoledì 29 febbraio 2012

Pochi istanti che valgono una giornata

A fine giornata lavorativa sento squillare il cellulare e vedo sul display del cellulare il nome di mia moglie. Quella sera era previsto che andasse lei a prendere la bimba al nido ma, considerando la lieve differenza di orario e il sopraggiungere di altri impegni, abbiamo concordato che sarei andato a prenderla io. 
Che dire? Devo ammettere che quello è sicuramente il miglior momento della mia giornata. Mi piace proprio andare a prendere la piccolina al nido pomeridiano. La struttura è fatta a vetri. Avvicinandomi al cancellino, cerco sempre di sbirciare all’interno per rubacchiare qualche momento di gioco e di interazione con gli altri bambini al riparo dagli sguardi dei genitori, che inevitabilmente ne influenzano il comportamento.
E poi arriva il bello, quando entro e una delle educatrici le dice “C’è babbo”. 
Lei si volta verso l’entrata, sfodera il suo migliore sorriso e mi corre incontro a braccia aperte. Io mi chino, la prendo al volo e alzandola verso l’alto le faccio fare un piccolo salto. CHE BELLO!!!
L’incontro degli sguardi. Il sorriso. Il gioco di lanciarla verso il cielo, staccarla dalla presa delle mie mani per pochi secondi e riprenderla sicuro subito dopo. Che bel ritrovarsi dopo tutta una giornata passata in ufficio (io) e al nido (lei). Non so quanti pochi secondi durerà tutto questo ma per me il tempo si ferma, scompaiono gli altri bambini, le maestre e giochi. Ci siamo solo io e lei.       
Mamma, se proprio devo… la prossima volta andrò io a prendere la piccola al nido.     

giovedì 23 febbraio 2012

“Repetita iuvant” ma che noia!

Ultimamente mi capita spesso di incontrare in giro conoscenti con bambini dell’età della mia, dall’anno e mezzo o poco più. Dai discorsi più scontati sui figli, da quante ore di sonno riesce a fare senza svegliarsi a se fa i capricci per mangiare, si arriva sempre, non dico sempre sempre ma molte, troppe volte, a quello che io chiamo il “siparietto”. Ovvero quando i genitori o i nonni, mi spiace per gli amabilissimi nonni ma di solito sono loro i principali artefici di questo spettacolino, incitano il figlio o il nipote a rispondere alle domande più strampalate: “Come fa l’aereo?”, “Dov’è babbo?” eccetera eccetera.  Di solito, alla terza o quarta volta che viene ripetuta la stessa domanda, il bimbo emette in risposta qualche suono, più o meno simile, di solito meno simile, ad una parola. E’ a quel punto che il genitore, o il nonno di turno, guarda con fare compiaciuto il conoscente.
In queste situazioni io mi immagino sempre estenuanti ripetizioni a casa con il bimbo costretto a sentirsi ripetere tante volte la stessa domanda e la stessa risposta. Personalmente non ho mai usato questa tecnica perché sono il io il primo ad annoiarmi di queste ripetizioni. Mi sembrerebbe di ammaestrare un pappagallino. Probabilmente sbaglio io. Mi limito, quindi, a fare un sorriso di circostanza cercando di comunicare al bambino la mia totale solidarietà. Diciamoci la verità, difficilmente si tratta di parole, sono per lo più suoni. Un po’ come quelli che registrano il vento e poi ci vogliono sentire strane voci in sottofondo. Se vuoi sentire qualcosa, sicuramente la sentirai.
Una nonna si era orgogliosamente vantata che il nipote di circa 18 mesi riuscisse a dire il nome della sua maestra del nido. Dopo aver insistentemente chiesto al povero nipote “Come si chiama la  tua maestra?”, alla quarta volta mi sono veramente pentito di non aver mai imparato a fare il ventriloquo, finalmente è arrivato un suono misto di vocali. Per me del tutto incomprensibile. La nonna si è voltata verso di me soddisfatta. Io ho avuto solo la forza di ricambiato il suo sorriso. Ho salutato e ho ripreso la passeggiata con la mia bimba.
Solo un dubbio ancora oggi mi assilla. Come si chiama quella maestra?

lunedì 20 febbraio 2012

Babbo vs papà

Ci sono dei suoni che ci portiamo dietro nella vita, che ci rimangono nelle orecchie e che ci danno immediatamente la sensazione di una melodia o di una stonatura.
In Toscana, o almeno nella parte dove sono cresciuto io, ci sono “mamma e babbo”. Papà stride. Come una nota sbagliata. Rimanda a “figlio di papà”. Non me ne vogliano i papà. So benissimo che nel Sud il babbo è addirittura un insulto perché significa babbeo. Me ne faccio una ragione, non preoccupatevi. Mi tengo, comunque, ben stretto il mio babbio, o meglio il MI’ BABBO.
Tra l’altro ho scoperto con la mia bimba che babbo è anche più difficile di papà. Non c’è storia. Papà è composto da due sillabe uguali pa- pa, contiene la vocale “a”, la prima che si impara dicendo mamma, richiama altre paroline magiche come “pappa” o “cacca”. Tutto gioca contro “babbo”.
Iniziare è facile BA BA BA ma questo BO sembra richiedere veramente un grande sforzo. Vedo quelle meravigliose guancettine gonfiarsi ma inesorabilmente esce un bel BA.
Vorrà dire che noi babbi dovremo armarci di pazienza in attesa del BO.
Con un’unica certezza: ne varrà sicuramente la pena.

sabato 18 febbraio 2012

La mia vita da Tetris

Ho realizzato l’altro giorno di vivere una vita da Tetris. Quel videogame di qualche anno fa nel quale dall’alto dello schermo scendevano pezzi di diverse forme, a velocità crescente, e che dovevano incastrarsi perfettamente con quelli precedenti. Se non si creavano i giusti incastri, lo schermo si riempiva di pezzi e il gioco finiva. Già, gli incastri perfetti.
Dovevo prendere l’appuntamento con il pediatra per la visita di controllo del 18° mese. Prima di chiamarlo avevo passato un buon quarto d’ora ad ipotizzare possibili proposte per il giorno e l’ora. Non era sufficiente, infatti, trovare il giorno giusto ma era essenziale anche l’orario. 
Ecco i 4 pezzi da incastrare velocemente, il tempo di una telefonata, ovvero le 4 agende: quella del pediatra, quella di mia moglie, la mia e … anche quella della piccolina. Eh sì, perché anche al nido ci sono orari precisi nei quali poter entrare ed uscire. E non si può rischiare di saltare una giornata di nido, perché altrimenti, anziché qualche ora di permesso per la visita dal pediatra, sarebbe necessaria un’intera giornata di ferie. Mi sono preso io l’impegno di chiamare... e, agendina aperta sul tavolo con i giorni e gli orari evidenziati, ho chiamato il pediatra. Al mio secondo rifiuto di fronte a sue proposte (proprio 2 di quei giorno no), per evitare ulteriori imbarazzi, ho preso l’iniziativa e, timidamente senza neanche crederci troppo, ho fatto la mia proposta di famiglia. Dopo qualche istante di esitazione, incastro riuscito! Ho comunicato a mia moglie il giorno e l’ora, con la fierezza di chi sa di avercela fatta, in un’impresa tutt’altro che facile. Ma il mio entusiasmo è durato solo qualche secondo. Il giorno andava benissimo ma forse l’orario non era proprio giusto. Forse era troppo a vicino al momento del pasto del nido. E se il pediatra fosse arrivato tardi per qualche imprevisto? Poi c’è il sonnellino, quello non si può disturbare.
Bisogna richiamare il pediatra e definire un nuovo appuntamento. No, niente incastro, i mattoncini continuano a scendere veloci, ormai non ce la posso più fare. 
Game Over. 
Un'altra monetina per una nuova partita. Adesso tocca alla mamma.