mercoledì 29 ottobre 2014

Le bugie dei bambini hanno le gambe corte, cortissime, praticamente gattonano

Una delle cose che mi piace dei bambini è che mentono. In alcuni casi spudoratamente, inventando cose assurde.
Mi piace perché, pur utilizzando molto spesso le bugie, non sanno mentire. E’ facile capire che stanno dicendo una cosa non vera.
E’ un classico, almeno per mia figlia, dire che è stanca, che non può più camminare e che bisogna prenderla in braccio. Per poi vederla correre pochi secondi dopo per aver intravisto in lontananza una sua amichetta.
Per smascherare bonariamente queste bugie, evitando di sfociare in un capriccio, ormai utilizzo un mio sistema personale. Considerando che di solito le dice con la massima serietà, in alcuni casi con la fronte corrugata, o con espressioni degne del più rodato attore di teatro, la guardo e sorridendo le dico: “Vedo i baffi, vedo i baffi… Stai ridendo sotto i baffi, eh”.
Di solito lei resiste qualche secondo. Poi prova a tenere chiuse le labbra ma le si alza un angolo della bocca e tutto finisce in un enorme sorriso. Scoperta la bambina menzoniera. 

Anticipo eventuali domande, purtroppo con gli adulti non funziona. Con gli anni impariamo a mentire meglio. Addirittura alcuni sviluppano una sorta di “faccia di bronzo” che rende più difficile il sorriso. 

giovedì 23 ottobre 2014

Bye bye ruotine della bicicletta

Non saprò mai se e quanto abbia influenzato la bicicletta senza pedali (post). Anche perché, visto il suo poco entusiasmo iniziale, avevamo affiancato anche una classica bicicletta con le ruotine (post). Ultimamente alternava le due bici. Quando uscivamo ne sceglieva una.
Domenica mattina siamo andati a fare una passeggiata e la sua scelta è stata per la bicicletta classica. Rispetto all’altra, muoversi è più faticoso. Tra l’altro qualche buchetta sull’asfalto faceva sì che la ruota posteriore rimanesse sospesa, poggiando sulle ruotine laterali, trasformando la bici in una cyclette da casa. Mia figlia pedalava, la ruota girava ma rimaneva ferma.
Così le ho detto: “Nel pomeriggio proviamo a togliere le ruotine.”
E così è stato. Lei ha preso questa novità con entusiasmo visto che, guardando gli altri bambini, nella sua mente aveva creato il binomio “assenza delle ruotine”- “essere grandi”.
 
Dopo qualche suggerimento su come partire e come fermarsi è andata. Ha iniziato a pedalare un po’ tremolante ma senza fermarsi. Io l’ho guardata con stupore quasi senza credere ai miei occhi. Con lo stesso stupire di quando vidi la scena del film E.T. quando il protagonista che sta scappando in bicicletta si stacca dal terreno e inizia a volare. 
Poi ci siamo spostati nella strada senza sfondo davanti a casa per avere spazio in lungo e largo.
A parte essere intervenuto un paio di volte per evitare lo scontro con auto in sosta e per scongiurare cadute rovinose, in pochi minuti le ruotine erano ormai archiviate come se non ci fossero mai state.
Se penso alla mia infanzia, anche se con più anni rispetto a quelli di mia figlia, la bicicletta ha voluto dire indipendenza e libertà. Andare in bicicletta significava avere la possibilità di muoversi in un raggio di azione molto più ampio. Mi ha dato l'opportunità di esplorare, da solo e con gli amici. Era anche una delle prime occasioni per fare un po’ di movimento.
Un’altra tappa di mia figlia nel suo percorso di autonomia. 

sabato 18 ottobre 2014

Il bambino di Pavlov

Per il 30° anniversario della scomparsa di François Truffaut ripropongo il finale del suo film I quattrocento colpi.

Se qualche genitore con velleità da scienziato sociale pazzo volesse fare l’esperimento di dare un ceffone al proprio figlio ogni volta che si trova nel suo raggio d’azione, anche senza una particolare ragione, scoprirebbe che, dopo breve tempo, vedendolo avvicinare il bambino si porterebbe automaticamente le braccia al volto per protezione. Il cosiddetto “riflesso condizionato”.
Avendo scoperto questo sorprendente automatismo, il genitore scienziato sociale ancora più pazzo potrebbe usare lo stesso metodo per far mangiare la verdura a tavola, per far tenere in ordine la propria cameretta, per farlo andare a letto all’ora giusta, per evitare capricci. Il collegamento tra disobbedienza e dolore fisico diverrebbe indissolubile. Neanche alzando la voce si otterrebbe lo stesso effetto, per non parlare poi di usare delle spiegazioni.  
Pensando al cane di Pavlov, mi rendo conto che in fondo era più fortunato perché almeno riceveva del cibo.
A proposito di cani, ricordo che sono stati vietati i collari elettronici per l’addestramento e mi convinco che non solo quello di Pavlov era fortunato. La motivazione della Corte di Cassazione di tale divieto mi fa letteralmente sgranare gli occhi. Quasi non credendo a quello che leggo, lo trovo incredibilmente applicabile ai metodi educativi bambini (ho barrato la parte vera della sentenza e ho messo tra parentesi le mie aggiunte):
“ […] la somministrazione di scariche elettriche (punizioni corporali) per condizionarne i riflessi ed indurlo tramite stimoli dolorosi (ceffoni) ai comportamenti desiderati produce effetti collaterali quali paura, ansia, depressione ed anche aggressività”.
Incredibile, no? Se l’hanno capito per i cani…

venerdì 10 ottobre 2014

Mai fermarsi a metà della storia, specialmente se è… infinita

Invogliato dagli spunti emersi dalle #booknomination di qualche tempo fa mi è venuta voglia di leggere il libro “La storia infinita”, spinto dal ricordo di uno dei film della mia infanzia a me molto caro e, chissà, forse anche da un po’di nostalgia.
Ho scoperto che il film corrisponde solo alla prima parte del libro. Fino a metà del racconto le parole scorrevano velocemente tra le immagini nella mia memoria. Poi il vuoto. Quella che per me era la fine della storia si è rivelata solo una tappa di un percorso molto più complesso.
Tanti i personaggi, i dialoghi, gli episodi e i significati. Tra i molti messaggi che si possono trarre dal libro io ne faccio mio uno in particolare che si scopre solo nella seconda parte, quella sconosciuta ai più.
Il bambino che abbiamo lasciato alla fine del film come salvatore di Fantàsia nel racconto ne entra a far parte. Il potere della sua fantasia rischia però di farlo rimanere intrappolato nel mondo che ha costruito senza più alcun contatto con la realtà. La creazione di un mondo fantastico rischia di togliergli ogni ricordo del suo mondo reale.
Personalmente credo molto nel potere della fantasia e penso che debba essere coltivata nei bambini. Allo stesso modo sono convinto che essere adulti non significhi aver abbandonato del tutto il mondo della fantasia ma voglia dire riuscire a creare un legame tra mondo reale e fantastico. Senza smarrirsi in un mondo inventato, perdendo qualsiasi contatto con la realtà, e senza arroccarsi nel mondo reale che abbiamo davanti agli occhi abbandonando ogni immaginazione di come vorremmo che fosse.
Ultimamente mi capita di guardare con piacere insieme a mia figlia dei bei film di animazione che cerco di scegliere con cura (qualcuno riconoscerà sicuramente il personaggio disegnato a destra).  
Vi invito a farlo ogni tanto mettendovi comodomente seduti sul divano. Scoprirete come in questi casi il mezzo televisivo non sia in alcun modo “passivo” per i bambini ma, al contrario, favorisca uno scambio tra voi e loro. I vostri figli vi sommergeranno di domande e di osservazioni sulla storia e sui personaggi.

lunedì 6 ottobre 2014

Si sa, i bambini vogliono la mamma

Qualche sabato fa eravamo tutti e tre a fare la spesa in un grande supermercato. 
Mia figlia ed io eravamo fermi vicino a uno scaffalo mentre mia moglie si era allontanata con il carrello. Stanca di aspettare, mia figlia mi dice di voler andare dalla mamma. Io le rispondo di attendere qualche minuto perché l’avevamo persa di vista ma che saremo andati a cercarla dopo pochi minuti. Non fermandosi mai al primo no, mia figlia ci riprova ribadendo di voler andare dalla mamma.
Nel frattempo una signora anziana a pochi passi da noi mi guarda con uno sguardo beffardo e, passandomi vicino con il carrello, mi dice “Non si fida, eh. Vuole la mamma.”

Tutti noi abbiamo dei pregiudizi, l’importante è rendersene conto. Bisognerebbe rendersi conto, inoltre, che i nostri pregiudizi sono come degli occhiali che ci mettiamo davanti agli occhi è che fanno in modo di farci notare intorno a noi elementi che li avvalorino. Così, in un circolo vizioso, troviamo conferma continua di quello che pensiamo.
Immagino la signora che racconterà alle sue amiche, o in famiglia, di aver sentito un paio di frasi della conversazione tra un padre e sua figlia al supermercato che dimostrano che gli uomini ci sanno fare poco con i bambini e che, comunque, i figli vogliono stare con la mamma.