mercoledì 30 maggio 2012

L’importanza di insegnare le regole con l’esempio.

Ultimamente, quando è a casa, mia figlia vuole togliersi i calzini antiscivolo e camminare a piedi nudi. Si siede per terra e con una mossa rapidissima appaiono i due piedini cicciottelli. Con la consapevolezza di aver fatto qualcosa che non deve, inizia a correre guardandoci e sorridendo come per dire “Se volete rimettermi i calzini, dovete prima acchiapparmi.” E così infatti avviene. Di solito poi si distrae con qualche gioco e se li lascia rimettere tranquillamente.

Proprio ieri sera, in attesa dell’ora della nanna, ho pensato di fare insieme qualche scarabocchio con le matite colorate. Ho preso tutto il materiale per poi metterci seduti sul tappeto ed iniziare a colorare. Per stare più libero e non camminare con le pantofole sul tappeto me le sono tolte e sono rimasto a piedi nudi. Mi sono seduto in attesa che si arrivasse anche mia figlia. Lei ha fatto un sorrisetto strano, che ho capito solo pochi istanti dopo. Si è seduta di fronte a me e la prima cosa che ha fatto è stata di togliersi i calzini.
Come spiegare a una bambina di 21 mesi che solo in quel caso poteva andare bene stare scalza perché era sul tappeto. Che non doveva rimanere a piedi nudi se voleva scorrazzare per casa sulle mattonelle perché alla fine avrebbe avuto dei ghiacciolini al posto dei piedi.

Ho imparato che a quell’età le regole sono regole, non si possono spiegare le eccezioni.
Ma soprattutto che, se è vero che si educa principalmente con l’esempio, i genitori non si possono mai distrarre neanche per un attimo perché i figli sono lì che ci guardano inesorabili.

lunedì 28 maggio 2012

“Non aspettatevi niente”: tanta intelligenza racchiusa in così poche parole.

Siamo arrivati alla festa finale del nido di mia figlia. Questo incontro con i genitori chiude un bel progetto dedicato alla musica che ha accompagnato i bambini nel corso dell’anno. Una volta a settimana era prevista una lezione con un’insegnante specializzata nell’approccio alla musica per i bambini da 0 a 4 anni.
Abbiamo scoperto che la festicciola sarebbe iniziata con un piccolo saggio musicale dei bambini. Prima dell’entrata l’insegnante di musica ci ha illustrato le attività svolte, si vedeva da come parlava che era molto soddisfatta di come avevano risposto i bambini e dell’interazione che si era creata.

La mia personale allergia verso qualsiasi esibizione di bambini piccoli, che mi ricorda sempre spettacoli di pappagallini ammaestrati per la gioia di chi guarda, mi ha un po’ irrigidito. Dietro una fila di piccole sedie, che serviva da linea di demarcazione tra “artisti” e “spettatori”, c’era un esercito di genitori armati degli strumenti più tecnologici per immortalare con immagini fisse o in movimento ogni attimo dei propri figli.

Poi l’insegnante ha concluso con una frase che le ha fatto subito conquistare la mia simpatia e ha sciolto tutte le mie riserve nei confronti di questa esibizione: “Abbiamo preparato qualcosa sulla base di quanto realizzato nel corso dell’anno ma, mi raccomando, NON ASPETTATEVI NIENTE. Sono bambini piccoli, l’aula è un ambiente protetto mentre adesso il contesto è completamente diverso.” Io non mi sono aspettato niente e, proprio per questo, tutto quello che è arrivato è stata la più grande delle emozioni. Anche se è stato solo il battito di un tamburello o un lieve suono della sua voce.

Alla fine è anche arrivata una coccarda per me che potete vedere in fotografia come ringraziamento per aver passato una mattina al nido insieme ai bambini. Nella coccarda, che conservo gelosamente a casa, c’é scritto “Grazie per aver giocato con noi”.
Da parte mia, come avevo scritto nel post dedicato a questa esperienza GRAZIE PER AVERMI FATTO GIOCARE CON VOI.

venerdì 25 maggio 2012

Anche le aziende si accorgono dei papà. Come avrebbe detto Clinton: “It’s the economy, stupid”.

Uno studio del Princeton’s Center for Research on Child Wellbeing ha evidenziato che nei mesi successivi alla nascita di un bambino ci sono dei “momenti magici” durante i quali i nuovi padri sviluppano il loro rapporto con il figlio. Utilizzando un termine inglese si parla di “bonding” ovvero di creazione di un legame che, diversamente da quanto avviene per una madre, il padre deve costruire. I papà devono volerlo un po’ di più rispetto a quanto avviene generalmente per le madri perché, almeno teoricamente, le occasioni di contatto con il bambino sono minori e vanno cercate.
Considerando il nuovo ruolo di padre che si sta sviluppando anche in Italia, aumentano gli studi e le iniziative su questa novità che assume i contorni di un “nuovo fenomeno” da analizzare. L’importanza di questa svolta si capisce anche dal fatto che diverse aziende si rivolgono ai papà o avviano iniziative che prevedono il loro coinvolgimenti (es. “Momenti magici” di Jhonson’s).

Dal mio punto di vista, parafrasando una frase famosa, dico sempre che “dietro un grande papà c’è sempre una grande mamma” nel senso che la partecipazione attiva di un papà viene favorita anche dallo spazio che la mamma gli lascia, favorendo il suo coinvolgimento delle normali attività quotidiane, fondamentali per creare quella familiarità e quella complicità, soprattutto fisica, nel primo periodo di vita. Se è vero che molti padri scappano volentieri quando si tratta di cambiare un pannolino, succede altrettanto spesso che le mamme siano molto protettive verso il piccolo anche nei confronti del proprio compagno.

Ripensando ai mesi passati identifico come il mio “momento magico” sicuramente quello del parto. Per me c'è stato una specie di imprinting al contrario, nel senso che la magia della creazione di un legame è avvenuta attraverso lo sguardo dell’adulto verso il piccolo. E’ un momento della mia vita che rimarrà indelebile nella mia memoria. Il primo contatto è stato pochi minuti dopo la nascita quando mi è stata data in braccio per andare dalla pediatra per i controlli di routine. Avevo tra le braccia una piuma che sembrava avere un peso incredibile.  

mercoledì 23 maggio 2012

L’uovo prossemico non si mangia né sodo né alla coque ma si rischia comunque una frittata.

Qualche giorno fa abbiamo partecipato ad una festicciola nel parco vicino a casa. Uno dei padri presenti, nell’euforia del momento e nella ricerca di un approccio simpatico a tutti i costi, si è avvicinato da dietro a mia figlia (21 mesi) e l’ha presa in braccio mentre stava tranquillamente giocando sul prato con un pallone.
Mi chiedo: perché si considerano i bambini come fossero dei bambolotti da prendere e lasciare a nostro piacimento? E se in quel momento non avesse avuto voglia di essere presa in braccio da una persona che non aveva mai visto? Sono io che sono troppo sensibile su questi argomenti? Non bisognerebbe chiedere a loro con un linguaggio idoneo, ad esempio avvicinandosi con le braccia aperte, se hanno voglia di essere presi?
In quel momento avrei voluto essere al suo posto per assestargli un bel calcio. Lei ha fatto un visino stranito cercando i miei occhi come per chiedere se fosse tutto a posto. Io ho provato ad avere lo sguardo più rassicurante possibile.
Ho capito che una delle tante cose che vorrò insegnare a mia figlia è che ci sono persone che hanno poca cura di quello che pensano gli altri e che è giusto dire quando non abbiamo voglia di fare, o ci piace poco, qualcosa.
All’uomo della festa vorrei spiegare che ognuno di noi ha un uovo. Si chiama “uovo prossemico”. Si tratta del nostro limite di tolleranza. E’ una specie di bolla intorno a noi nella quale non vogliamo che gli altri entrino. Ognuno ha la sua bolla, con dimensioni che cambiano da persona a persona, da situazione a situazione e da diversi altri fattori.   
Non è un uovo normale. Non si mangia né sodo né alla coque ma si rischia comunque una frittata… almeno nei rapporti personali.

lunedì 21 maggio 2012

Pubblicato un articolo di BABBOnline

Questa mattina è stato pubblicato un articolo di BABBOnline sul tema
BIMBI E FARMACI. L'ESPERIENZA DI UN PAPA'

http://emergenzasalute.blogosfere.it/2012/05/bimbi-e-farmaci-lesperienza-di-un-papa.html

Guest post - Il vostro bimbo non sta bene? Ecco alcuni rimedi naturali.

I primi anni di vita dei piccoli e successivamente quelli trascorsi nella scuola materna sono anche quelli in cui il bambino tende ad ammalarsi più di frequente, sia a causa del effetto “contagio” tipico delle classi di asilo sia perché, vista l’età, le difese immunitarie non sono ancora del tutto sviluppate.
Per far fronte a febbri, raffreddori ed influenze dell’infanzia si può ricorrere ad alcuni collaudati rimedi naturali e omeopatici che, nei secoli, si sono rivelati utili per la salute del bambino. Ovviamente questi rimedi devono essere utilizzati con la massima accortezza vista la minore età “del paziente”, e con buon senso da parte dei genitori. Per questo i rimedi naturali, anche quelli più collaudati, non devono mai essere considerati come un’alternativa ad un consulto con il pediatra o il medico di base.
Se per la cura dei malanni invernali  i rimedi tipici sono quelli ad effetto “calmante” come la camomilla, o il latte con il miele per la tosse, per il benessere in generale i rimedi naturali possono essere utilizzati con maggior disinvoltura. Esiste una consolidata gamma di alimenti che oltre ad essere utili per la convalescenza postuma a stati febbrili, sono altrettanto efficaci nel fare in modo che il bambino non si ammali.
Le prime alleate contro febbre e raffreddore dell’infanzia sono le vitamine;  sostanze che pur normalmente presenti negli alimenti più comuni, alcune volte possono risultare carenti nei più piccoli in conseguenza di diete non complete. Si sa che i bambini tendono a mangiare poca verdura e frutta e questo può portare ad una carenza di vitamina C, che invece è un vaccino naturale contro l’influenza.
Per coprire il complesso vitaminico in generale si può ricorrere a cibi come l’olio di fegato di merluzzo (Vitamina A e D), i semi di girasole (Vitamina E), latte, uova e cereali (Vitamine del gruppo B ed H),  o formaggi e carne (Vitamina K). Come si vede, coprire il fabbisogno vitaminico non è altro che il frutto di un’alimentazione quanto più possibile varia e completa, senza che sia necessario ricorrere ad una farmacia.

giovedì 17 maggio 2012

Quale futuro per i nostri figli?

Secondo un rapporto “SAVE THE CHILDREN” in Italia, leggete bene, IN ITALIA 1 BAMBINO SU 4 E’ A RISCHIO POVERTA’. Avete letto bene. Non stiamo parlando di qualche Paese lontano che siamo abituati a guardare dall’alto in basso sulla base della nostra condizione di cosiddetti Grandi della Terra.

Diciamoci la verità, quando si hanno figli si guarda in modo diverso anche il futuro. Il futuro ha una dimensione strana, quando se ne acquista consapevolezza e si hanno gli strumenti per agire già ci appartiene meno. E’ dei nostri figli ma loro sono troppo piccoli e dobbiamo lottare noi a loro fianco. E’ una staffetta continua.    
Non si può pensare al futuro dei bambini senza agire sul presente delle famiglie. E’ il terreno nel quale è caduto il seme, dove si svilupperà e metterà le prime radici fondamentali per il suo sviluppo. Sento tante storie provenienti dalla scuola di disagio. Di bambini con situazioni molto difficili che crescono già con fardelli da portare con sé che inevitabilmente piegheranno le loro fragili schiene.
E l’altra metà del cielo per i bambini, oltre alla famiglia, è la scuola. Quella scuola che dovrebbe servire per la crescita dei nostri figli in un reciproco supporto con la famiglia.
Al contrario, vedo che sono proprio questi ambiti i più dimenticati dalla politica. Mancano idee. Non c’è la voglia di immaginare un futuro diverso da quello verso il quale ci porterà questo presente scadente.

In questo ambito ho le idee molto chiare che mi sono costruito in tutti questi anni di esperienze concrete e qualche lettura. La risposta è la “mobilità sociale”, ovvero che tutti i bambini riescano ad avere le possibilità di realizzare quello che desiderano, sulla base dei loro talenti e capacità, indipendentemente da dove provengano. Dobbiamo lavorare per questo. Basta leggere le statistiche sul rapporto tra lavoro dei genitori e dei figli e sul rapporto tra livello di istruzione dei genitori e dei figli per vedere quanto ci sia ancora da fare.         

La Campagna “RICORDIAMOCI DELL’INFANZIA” di Save the Children per chiedere al Governo di intervenire subito.


martedì 15 maggio 2012

Mamma, ho preso l’aereo!


Quando si parla di ferie con i bambini piccoli di solito ci sono due posizioni contrapposte.
Da un lato i genitori che non si muoverebbero mai con un bambino piccolo se non per una spiaggia vicinissima. Principalmente per comodità propria, troppo complicato organizzarsi tra biberon, passeggino, scalda pappa, ecc. In genere sono coppie non abituate a viaggiare neanche prima dell’arrivo dei pargoletti.
Dall’altro troviamo quelli che viaggiano ovunque anche con i bimbi piccoli. Li vediamo in giro, anche nelle città d’arte con passeggini ultraleggeri e, i più attrezzati, con porta bebè sulle spalle. Per lo più sono stranieri. Gli italiani non si adattano molto nei viaggi. In generale, figuriamoci con i bambini. Un po’ di adattamento ci vuole, da parte di tutti.
I primi criticano i secondi dicendo che questa voglia di viaggiare è solo egoismo dei genitori, che i bimbi hanno equilibri molto precari che è bene non mettere alla prova. Gli altri affermano convinti che è solo un problema di organizzazione e di flessibilità dei genitori, basta usare il buon senso. Che i bambini fanno esperienze e si abituano molto più facilmente di quanto possiamo pensare e, comunque, molto meglio dei genitori.

Tra questi due schieramenti noi ci troviamo in mezzo. Né sostenitori della vacanza con i piccoli ovunque e a tutti i costi né da ferie sotto una campana di vetro.  Così abbiamo deciso di provare il nostro primo viaggio in aereo con la piccola di 21 mesi. Dopo un paio di vacanze utilizzando come mezzo di trasporto la nave perché ci permetteva di imbarcare la nostra auto piena all’inverosimile di tutto l’occorrente, trasformata in una sorta di negozio per neonati su quattro ruote.
Poi, complice un’offerta imperdibile, ci siamo guardati negli occhi e abbiamo trovato il coraggio di partire per una meta che fosse adeguata alla sua età.
Quando si va in aereo ci sono diversi tempi “morti” che non si possono più utilizzare per schiacciare il famoso pisolino, come si fa da viaggiatori senza prole, ma bisogna cercare di ravvivarli per i bambini. Dall’attesa in aeroporto, che comunque la possibilità di muoversi rende vivibile, al volo vero e proprio: il  problema reale. Abbiamo portato piccoli giochi, libri e matite per colorare. Ma la curiosità era troppa. C’era da guardare cosa facevano le hostess, cosa c’era nei carrelli che passavano e chi fossero gli altri passeggeri. Poi c’è quel bel corridoio stretto stretto che sembra fatto apposta per andare avanti e indietro.
Ad un certo punto un signore distinto si è avvicinato e con voce impostata mi ha detto: “Siamo in fase discendente e da medico le consiglio di dare il ciuccio alla bambina.” Ho ringraziato, anche se francamente non si percepiva affatto che l’aereo stesse diminuendo la quota. Non ho avuto la forza ed il tempo di rispondere che avevamo passato serate su internet per leggere tutte le implicazioni del volo per i bambini piccoli e che avevamo portato 2 ciucci di scorta, dell’acqua e qualcosa da mangiare (espedienti che servono per far deglutire i bimbi nelle fasi di salita e discesa dell’aereo per evitare problemi alle orecchie). Chissà cosa avrà pensato: “I soliti genitori improvvisati! Forse era del partito di quelli che “con i bimbi piccoli non si viaggia”. 
Durante il volo di dormire non se ne è neanche parlato. Il sonno è stato trattenuto con tutti gli sforzi possibili finché non ha toccato il seggiolino dell’auto a noleggio.

Quindi per chi sta pensando alle ferie per la prossima estate ed è indeciso su dove andare con i figli piccoli, e magari si chiede se valga la pena prendere l’aereo, mi viene da dire come nel film “Frankenstein junior”: “SI PUO’ FARE!

sabato 12 maggio 2012

Niente è come sembra e un gioco è solo un gioco


Giocando con i bambini piccoli si scopre un mondo che forse avevamo dimenticato e che, comunque, ci obbliga a toglierci le lenti da adulti attraverso le quali abbiamo imparato a guardare le cose crescendo.
Non sto parlando di essere presenti nella stanza con bambini che giocano, con l’esclusiva funzione di vigilanza, ma di partecipare alle diverse attività lasciandosi coinvolgere. Sì, perché il gioco è il loro. Non ci sono regole precise, ogni oggetto perde il significato che siamo abituati ad attribuirgli. All’inizio è strano ma, lasciandosi andare, si impara velocemente.
Anche io ho dovuto scoprirlo piano piano.
Un po’ di tempo fa hanno regalato a mia figlia di circa venti mesi un piccolo carrellino in plastica con le fattezze di quello che si utilizza per fare la spesa. La cosa mi ha lasciato perplesso, subito sono scattate in me le difese da adulto: fare la spesa uguale comprare. La stiamo portando verso il consumismo già da piccola?!?!
Se mia figlia avesse potuto parlare mi avrebbe sicuramente detto: “Ma babbo, lasciami giocare!”
E avrebbe avuto ragione alla grande. Per lei adesso è solo un contenitore con le rotelle che può spingere e può utilizzare per trasportare i suoi giochi ed i suoi pupazzi. Si diverte un mondo girando per le stanze e nel corridoio guidando il suo carrellino. Ci sarà il tempo per spiegarle tutti gli altri possibili significati collegati.
Credo proprio che questi occhiali da adulto non facciamo poi così bene alla vista. E non solo a quella.

mercoledì 9 maggio 2012

La bizza è come un temporale tropicale


Mia figlia sta crescendo ed iniziano i primi capricci. Le prime bizze mi hanno lasciato senza parole, si trattava delle prime che vedevo. E’ bastato un semplice “NO” che è letteralmente “scoppiata” la bizza, secondo me questo verbo esprime meglio il senso. Urla e pianto a dirotto. Quello che pochi secondi prima sembrava ai miei occhi il viso di un angioletto si era trasformato.
In questi casi vale la regola d’oro “Mantenere la posizione”. Mai cedere perché con la stessa velocità con cui è arrivata la bizza così altrettanto velocemente se ne andrà. Sembreranno minuti interminabili ma è così. L’esperienza insegna.
La bizza è come quei temporali tropicali che arrivano improvvisamente con una pioggia torrenziale e tuoni da paura. Di solito gli atteggiamenti sono di due tipi: quello degli abitanti del luogo, nel nostro caso i genitori “navigati”, che conoscono bene questi eventi e sanno che passeranno velocemente e tornerà a splendere presto il sole, c’è solo da aspettare con pazienza, e quello dei turisti, nel nostro caso chi non ha avuto a che fare con i bambini piccoli, che pensano che la giornata sia ormai definitivamente rovinata e che lasciano la spiaggia e ritornano in albergo.

giovedì 3 maggio 2012

Guidando una mattina con uno scuolabus davanti


"Come voglio crescere mio figlio?” “Cosa voglio insegnargli?” “Quali valori voglio trasmettergli?”
Sono domande che ogni genitori si pone, prima nel suo intimo poi confrontandosi con il proprio compagno o compagna, ancora prima di vedere il proprio figlio negli occhi e stringerlo tra le braccia, magari tenendo una mano sulla pancia che cresce.
Sono domande che non si fanno una volta per tutte, si scopre che sono quasi riflessioni da tutti i giorni perché si devono affrontare i piccoli e grandi eventi del quotidiano. L’educazione che vogliamo dare ai nostri figli si nutre, infatti, di grandi valori ma anche di piccole cose.
All’inizio la sensazione che si ha, almeno è quella che ho avuto io, è di un fortino sotto assedio. Tutto e tutti vorrebbero influenzare i nuovi mamma e babbo. I nonni, gli amici, i parenti, gli altri genitori, la pubblicità e chiunque abbia avuto un bambino in famiglia o abbia letto un articolo su una rivista. Anche la zia single ha sentito dire qualcosa da un’amica che ha una sorella con un figlio… E’ fondamentale che almeno i genitori siano uniti nella volontà di una scelta educativa condivisa.    
Sono convinto che l’educazione con la E maiuscola spetti ai genitori. Da questo punto di vista i nonni devono fare un passo indietro. Sento già nelle orecchie “Ma ne ho tirati bene su due”. E pensare che uno di quei due sarei io.
Poi, l’altro giorno, osservando il comportamento di mia figlia, mi sono reso conto del tempo trascorso al nido del quale conosco poco le dinamiche. E allora a chiedere alle maestre, a cercare un confronto con loro per capire meglio.
Con la crescita gli ambienti diversi dalla famiglia con i quali entreranno in contatto i nostri figli aumenteranno vertiginosamente. La scuola, gli amici, lo sport, la televisione. Credo che saranno fondamentali due cose: l’esempio, prima di tutto, ed il dialogo. Ricordiamo sempre che sono figli nostri ma che non siamo noi. Avranno le loro idee, i loro gusti e sicuramente non tutto ci piacerà.       
Non potremo, e soprattutto non dovremo, essere sempre con loro. Come nella prima fase della loro vita, il nostro compito di genitori è di insegnare a camminare ai nostri figli. All’inizio li teniamo in braccio, poi si muovono aggrappandosi a entrambe le mani, successivamente basta una mano sola o un dito.
Il vero successo è vederli correre da soli. E se capita di cadere, rialzarsi e riprendere la corsa.

Qualche mattina fa stavo andando a lavoro in auto e avevo di fronte uno scuolabus. Tra una fermata e l’altra qualcuno si alzava, tirava la cartella, faceva confusione e dava fastidio agli altri. Subito è scattato in me la sensazione del “fortino” ma ho realizzato che se anche riusciremo a portarla noi a scuola la mattina non potremo evitargli gli “altri scuolabus” che dovrà affrontare, i primi giorni di scuola, le prime uscite con gli amici. 
Considerando che mia figlia ha circa 20 mesi dovrò cercare di ricordarmelo tra diversi anni. Magari servirà rileggere questo post.

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