mercoledì 26 novembre 2014

La differenza fondamentale tra un consiglio e un ordine (ovvero gli errori da non ripetere)

Nei confronti passati con mio padre ricordo che, spesso, quando capitava che gli chiedessi un consiglio lui si aspettava che poi lo seguissi.
In realtà io cercavo un confronto, volevo un punto di vista di una persona che per me aveva un valore, una certa esperienza, che poteva farmi vedere una questione da un’altra angolazione e che mi avrebbe portato a riflettere. Era chiaro per me che poi la scelta sarebbe stata mia.
Non capivo certe sue rimostranze. Un consiglio si può seguire o no, altrimenti diventa un ordine. La differenza fondamentale è data dalla libertà di scelta.
Non si tratta di mancanza di riconoscenza. Non ha senso dire “ma allora perché me lo chiedi, se poi fai quello che vuoi”.
Anche perché succede che una volta chiedi un consiglio, lo fai anche una seconda volta ma poi ti stanchi e non lo chiedi più.
Ed è un peccato, un vero peccato.

venerdì 21 novembre 2014

Perché non scrivo la letterina a Babbo Natale

Ho scoperto che tutto quello che faccio insieme a mia figlia, o per mia figlia, viene vanificato con un colpo di spugna per il semplice fatto di non farle scrivere la letterina a Babbo Natale.

Proprio io che dovrei avere una grande riconoscenza nei confronti di uno dei personaggi più famosi che porta avanti il nome di “Babbo”, alla faccia dei papà che si fanno forti della loro maggioranza.
Dimenticate le notti insonni, la manina tenuta durante le visite dal pediatra, le uscite al parco, le letture dei libri, i giochi insieme, i disegni e chissà (io lo so) quanto altro, perché manca la letterina. Moderna pietra di volta dell’arco della crescita di mia figlia tolta la quale crolla tutto. 
Ma come? Non fai scrivere la letterina a Babbo Natale?” accompagnato da sdegno e disapprovazione.
I segnali premonitori c’erano tutti, qualcuno dirà. Non ha mai visto una puntata di “C’è posta per te” (questo è vero), è un chiaro segnale di avversione nei confronti della corrispondenza scritta.

Proprio lui che parla dell’importanza della fantasia per i bambini. Un bluff? O solo per convenienza visto che è andato a trovare Babbo Natale perché sua figlia gli regalasse il ciuccio? Babbo opportunista e calcolatore?
Giù la barba, ops, la maschera, babbonline. 
E’ che la letterina proprio non mi va giù. Ultimamente sto cercando di non fare cose che non sento.
Mettermi lì a buttare giù una lista della spesa dei regali mi piace poco.
Babbo Natale sa cosa vuoi. Sicuramente non potrà portarti tutti i regali che ti piacciono perché ci sono anche gli altri bambini. Non c’è bisogno di scrivere una lettera come se fosse un ordine su internet. Uno che in una notte riesce a portare i regali a tutti i bambini del mondo vuoi che non sappia già cosa desideri. Sennò come avrebbe potuto organizzare la fabbrica degli Elfi se avesse dovuto aspettare le lettere dei bambini. Con i tempi delle Poste poi. La fabbrica è efficiente perché gioca in anticipo, ti conosce. Non mettiamo in dubbio anche questo. Non vorrei che a qualcuno venisse in testa l’insana idea di mettere Marchionne a capo della fabbrica di Babbo Natale. Ce la ritroveremmo spostata per questioni fiscali e di immagine dalla sede storica del Polo Nord, fredda e scomoda da raggiungere, a quella nuova in un paradiso fiscale alle Hawaii per far felici gli investitori. Chiuse diverse linee di produzione, Elfi in esubero. E come regalo riceveremmo solo modellini di macchinine, blu per i maschietti e rosa per le femminucce. 

Questo non vuol dire non trasmettere la magia del Natale e del dono. Altro che letterina, tutto ci rende più difficile questo compito.
Prima di arrivare al giorno di Natale mia figlia ha già incontrato Babbo Natale decine di volte: alle feste dell’asilo, per strada, nei negozi, alle fiere di paese. Le manca di vedermi una mattina andare in ufficio con il vestito rosso e la barba lunga bianca.
Bambini sommersi di regali che pretendono di sceglierli fino a un minuto prima della mezzanotte del 24 dicembre sulla base dell’ultima pubblicità vista in televisione. Regali dei nonni, regali degli zii…ma non li portava Babbo Natale? 

Il Natale che sta arrivando tra un giorno passerà, io sto già aspettando la Befana che presto arriverà…

martedì 18 novembre 2014

Generazione di fenomeni

Qualche giorno fa hanno passato alla radio una canzone degli anni ’90, bel testo e bella musica.
Quello che mi piace delle canzoni è che fanno da sottofondo alla nostra vita perché tu le ascolti mentre fai altro. L’esatto contrario della televisione che, comunque, ti blocca a guardarla.
Nei miei ricordi associo quella canzone a una precisa estate della mia vita quando la sentivo attraverso un jukebox di un campeggio. Fu il mio primo lavoretto estivo e significava autonomia, libertà ma anche responsabilità.

Sempre più spesso mi trovo in mezzo a bambini che di 3 o 4 anni che:
- maneggiano tablet e sento genitori che pensano di regalarne uno “tutto suo” per il prossimo compleanno;
- a Natale ricevono una visita personalizzata di Babbo Natale a casa loro;
- festeggiano compleanni con torte a piani con sopra i loro personaggi preferiti;
- fanno lezioni prova di tanti sport diversi prima di trovare quello che piace loro;
- imparano l’inglese rigorosamente solo con una tata madrelingua;
- tra asilo, attività varie e cene fuori stanno a casa giusto il tempo per dormire.
In questa anticipazione di scoperte ed esperienze alcune volte mi chiedo cosa chiederanno o pretenderanno di fare e avere a quattordici anni.
Soprattutto mi chiedo se noi genitori stiamo crescendo una… generazione di fenomeni.
Impressionante l’attualità del testo che potrebbe essere stato scritto oggi.

mercoledì 12 novembre 2014

Dare voce alle proprie emozioni

Seguendo consigli presenti in rete, ho letto recentemente un libro molto interessante “Intelligenza emotiva per un figlio“.
Mi ha colpito molto una frase: “Dobbiamo accettare tutte le emozioni dei nostri figli ma non tutti i loro comportamenti”. In poche parole, va bene essere arrabbiati ma non per questo si può accettare che si rompa qualsiasi cosa che capita tra le mani. Riflettendoci bene è un ragionamento che vale per tutti, bambini e adulti.
Il riconoscimento delle proprie emozioni e la loro gestione si impara crescendo. Personalmente credo molto nel valore dell’esempio e della parola, nel senso di dialogo.
Bisognerebbe ricordare sempre di non dire ai nostri figli quel “Non devi essere… o non devi avere…” che, invece, sembra venire così immediato. “Non devi essere arrabbiato”, “Non devi avere paura”, “Non devi piangere”.
Direste a qualcuno di non aver paura di fronte a un leone? Sicuramente no. Direste a qualcuno di non aver paura di fronte a un gatto? Probabilmente sì ma se quella persona avesse una fobia vorrebbe dire negare un’emozione vera.
Non c’è niente di male di per sé a essere arrabbiato o ad aver paura. Bisogna cercare di confrontarsi con il bambino per cercare di capirne le motivazioni.
Certe volte mi sorprendo nello scoprire che i nostri figli saprebbero argomentare molto bene quello che sentono, dando spiegazioni logiche, dal loro punto di vista, delle emozioni che stanno provando. Sono i primi passi di un’abitudine al dialogo tra genitori e figli che si consoliderà crescendo.

Ultimamente mia figlia sta prendendo le misure delle sue paure.
Qualche sera fa, di fronte all’apparizione di un’ombra con gli occhi rossi nel cartone animato che stava guardando, le ho chiesto se le facesse paura. Lei mi ha risposto di no e ha cercato di spiegarmi i suoi livelli di paura che aveva identificato e i relativi comportamenti da seguire.
- Se una cosa “Non mi fa paura”, si può fare o vedere.
- Se una cosa “Fa pochino paura”, si può fare o vedere.
- Se una cosa “Mi fa paura”, è meglio non farla o vederla.
Diverso tempo fa mia figlia non voleva scendere da sola al piano di sotto per prendere un gioco chiedendo che la accompagnassi. Pensando che fosse una bizza le dissi che doveva andarci da sola perché io stavo facendo un’altra cosa. Lei mi guardò dicendomi “Ma io ho paura”. Il suo sguardo mi sembrò sincero così le dissi di aspettare qualche minuto e scendemmo insieme.
Sabato mattina scorso di fronte a un pupazzo al piano di sotto mia figlia mia ha detto “Vado a prenderlo da sola. Non ho paura. Sono calma e non ho paura”.

Tra le tante emozioni, anche guardandole con gli occhi di adulto, mi sembra che sia molto importante imparare la gestione delle proprie paure.
Mi torna alla mente l’invito di De Gregori: “Nino non aver paura di sbagliare un calcio di rigore, non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore…” (da La leva calcistica del ‘68).

mercoledì 5 novembre 2014

Storielle per andare all’asilo: il bambino che ha perso la mano nel cappotto.

Certe mattine è dura alzarsi dal letto. Per tutti. Nonostante ci si alzi per andare all’asilo dove si potrà giocare con i propri amichetti e cantare le canzoni. Ma forse quello è l’asilo visto con gli occhi di un adulto che deve andare a lavoro. Se ci andassimo noi, scopriremmo che l’asilo non è un parco giochi. Ci si diverte ma non per tutto il tempo, ci sono regole da seguire. Non tutti i bambini sono simpatici, anzi qualcuno è proprio antipatico. Addirittura c’è chi ti dà le botte, le spinte e chi ti prende il giocattolo dalle mani. Sarebbe meglio andarci verso le dieci, dopo essersi svegliati da soli. Sarebbe tutta un’altra storia. Adesso che arriva il freddo sotto il piumone si sta veramente bene.
In quelle mattine, nelle quali è dura alzarsi dal letto ma bisogna farlo, una volta alzati diventa molto probabile, quasi certo, dare il peggio di sé per fare qualsiasi cosa. Lavarsi, vestirsi e fare colazione. Sembra quasi una ritorsione. Tu mi hai svegliato ed io mi vendico

Ieri è stata una di quelle mattine. Dall’aprire gli occhi al mettersi il giacchetto per uscire.
Dopo aver consumato tutta la pazienza tra la sua camerina e il bagno, prima di uscire è arrivata l’ennesima sfida di mia figlia con il suo “no” al momento di mettersi il giacchetto. Di fuori mi aspettava una giornata di pioggia quasi torrenziale. Così ho preso tempo e le ho detto “Intanto mi metto il mio”.
Come uno dei lampi del temporale che ci aspettava fuori, d’improvviso ho iniziato a inventarle una storia.
“Lo sai che una volta un bambino che si è messo il cappotto ha perso una mano dentro?” E mentre infilavo la manica il mio cappotto le facevo vedere che la mia mano usciva.
“I genitori cercavano e cercavano ma non riuscivano a trovarla. Né dentro il taschino, né caduta per terra.”
Lei ha iniziato a sorridere.
“Vediamo se riesci a metterti il giacchetto senza perdere le tue mani perché dobbiamo andare all’asilo e ti serviranno tutte e due.”
Così ha preso il suo giacchetto e l’ha indossato, quasi divertendosi, senza fare capricci.
Abbiamo trovato anche il nome, rigorosamente in rima… Adriano, il bambino che aveva perso la mano.
Chissà forse la mia fantasia è ancora allenata dalle letture di Gianni Rodari di tanti anni fa.