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martedì 22 settembre 2015

Un racconto breve per parlare di #bullismo

Per trattare di un argomento che ci tocca direttamente non c’è niente di meglio che farlo con un racconto. 
Questo perché attraverso i personaggi e le situazioni della storia riusciamo meglio ad aprirci e, senza dichiararlo apertamente, a parlare di noi, delle nostre esperienze, dei nostri pensieri, delle nostre paure, delle nostre preoccupazioni e delle nostre speranze. 
Il racconto è quella maschera di cui parlava Oscar Wilde che ci permette di dire la verità.

Per questo che ho scritto questo racconto breve nella speranza che venga letto dai ragazzi e dalle ragazze e che possa favorire una discussione sul tema del bullismo
Perché è proprio del silenzio che si nutrono questi fenomeni.

Chi vuole leggerlo può trovarlo alla seguente pagina FB:
 
Buona lettura! E se vi piace, fatelo girare...

lunedì 6 luglio 2015

Come spiegare a mia figlia che il mondo intorno a noi può sembrare una scenografia di cartapesta

Qualche sera fa ho spento a tarda ora la tv dopo aver visto una delle tante trasmissione di approfondimento. Mi aveva colpito molto l’intervista a un’immigrata clandestina che, alla domanda di cosa si fosse aspettata dall’Europa, ricordava la pubblicità del cibo per gatti nel quale aveva visto un gatto mangiare in un piatto. Un’immagine emblematica per una persona che deve lottare quotidianamente per avere del cibo. Non credo che potremmo mai veramente capire certe sensazioni.  
Mi è tornato alla mente il libro “La città della gioia”, che consiglio vivamente a chi non l’ha letto, nel quale un bambino di quello che chiamavamo Terzo Mondo, abituato a dover cercare l’acqua per bere, rimane profondamente stupito nel vedere che nelle città europee esistono fontane che spruzzano acqua.

Come sempre, prima di mettermi a dormire mi sono affacciato alla cameretta di mia figlia per darle l’ultima occhiata della giornata, di solito c’è da riprendere il cuscino caduto a terra.
Forse per questo caldo soffocante arrivato all’improvviso, contro il quale sembrava essersi arreso anche il ventilatore, faticavo a prendere sonno. Mi sono messo a riflettere su quanto sarà difficile spiegare a mia figlia il mondo nel quale viviamo. A rifletterci bene, sembra che stiamo vivendo in un finto scenario. In un Luna Park, almeno per noi e non so ancora per quanto, nel quale in realtà quello che ci circonda è fatto di cartapesta. Basta guardare dietro per vedere la struttura posticcia.
Viviamo in un’economia al di sopra delle nostre possibilità, che sta in piedi solo attraverso artifici a scapito di altri. Propagandiamo agli altri il liberismo estremo quando noi, per stare in piedi, siamo pieni di blocchi e sussidi. Alziamo muri alti per difendere i nostri privilegi dall’arrivo di altri che potrebbero ridimensionarli. Non ci rendiamo conto che non riusciremo mai a fermare chi si muove avendo come unica altra alternativa la morte. 
Ci piace riempirci la bocca di slogan e non neghiamo mai a nessuno l’invio di un sms a sostegno di questa o quella raccolta fondi. Basta, poi, poter tornare alla nostra vita di sempre.
Vogliamo poter cambiare televisione, cellulare, computer e tablet alla prossima promozione senza dover pensare a come sono prodotti o a dove andranno a finire tutti i nostri scarti. Vogliamo poter dormire sonni tranquilli.
Vorrei riuscire a trovare un modo per spiegare tutto questo a mia figlia. La maniera giusta, sperando ce ne sia almeno una, che le permetta di prendere coscienza di certi argomenti, sviluppando una certa sensibilità su questi temi, senza che questo le faccia sentire sulle spalle tutto il peso del mondo. Un modo che le apra gli occhi su quello che succede anche solo a pochi chilometri di distanza da casa sua.
Perché sappia che la vita del suo compagno di asilo nato in Africa non è uguale a quella degli altri bambini che crescono e vivono lì.

lunedì 20 aprile 2015

“I bambini sanno” e “I bambini pensano grande” ma non sono dei piccoli guru

C’è molta attenzione nei confronti del mondo dei bambini, lo testimoniamo i tanti libri e blog. Recentemente il docufilm “I bambini sanno” e il libro “I bambini pensano grande” hanno acceso un riflettore e, soprattutto, un microfono sul mondo dei bambini dando loro visibilità e voce.
C’è il rischio, però, che si guardi ai bambini come a degli idiot savant, che noi consideriamo non al nostro pari ma che, per chissà quali ragioni, possono darci risposte illuminanti. O che si sfoci nel mito del “buon selvaggio”, in questo caso del “buon bambino”, secondo il quale i bambini sono intrinsecamente buoni non essendo ancora corrotti dalla società e dal mondo degli adulti.
Credo che sia emblematica la frase detta da uno dei protagonisti e inserita nella locandina del film: “Spero che lo vedano i nostri genitori, così ci capiranno meglio” che denuncia il fatto che i genitori ascoltano poco i figli. Chi legge il libro o vede il film si rende conto di quanto hanno da dire i bambini, senza che questo debba necessariamente tradursi in perle di saggezza e senza farne dei giovanissimi guru. E’ un messaggio indirizzato soprattutto a chi ha a che fare con loro quotidianamente: genitori sempre di corsa e troppo impegnati a dare un futuro ai propri figli, o insegnanti pressati da programmi da rispettare, per avere anche il tempo di ascoltarli.
Penso che l’obiettivo principale di queste opere, o almeno quello che gli attribuisco io, sia di sensibilizzare gli adulti a un maggior rispetto e ascolto nei confronti del mondo dei bambini qualsiasi cosa abbiano da dirci e senza aspettarci necessariamente spiegazioni sul senso della vita. Un ascolto che non sia passivo ma che si traduca in un dialogo tra generazioni perché, diversamente dai bambini, sono gli adulti ad avere gli strumenti per costruire e modificare la società in cui vivono.
Sarebbe interessante sentire cosa avranno da dire tra dieci anni gli stessi bambini intervistati oggi da Veltroni.

mercoledì 25 marzo 2015

Insegnare l’educazione non basta

Insegnare l’educazione non basta. Bisogna insegnare anche a gestire la mancanza di educazione degli altri
Credo che rientri tra i tanti strumenti da mettere in quell’invisibile zainetto che i nostri figli si porteranno dietro nel corso della loro vita.

Me ne aveva parlato la scorsa estate una mamma con un figlio un po’ più grande della mia in seguito a un episodio accaduto al parco. Suo figlio si mette ordinatamente in fila in attesa del suo turno dopo un primo scivolo. Arriva un altro bambino, lo sposta con uno strattone e gli passa davanti. Suo figlio rimane un po’ sorpreso da questo comportamento, non dice niente. L’unica sua reazione e rimettersi in fila qualche posto più indietro. Tra l’altro mi faceva notare che, di solito, i genitori di questi bambini sono spersi nel parco, seduti in qualche panchina a chiacchierare con altri genitori o al cellulare, parlando e messaggiando.

Non volendo intervenire nelle questioni tra bambini, succede comunque che poi al rientro a casa tuo figlio si lamenti di un comportamento del genere, o ti racconti di episodi simili, chiedendoti cosa fare. E’ qui si arriva al punto, quali consigli dare?
Ci sono tante possibili risposte.
  • Atteggiamento depistatorio o del Bicchiere mezzo pieno: “Vabbé, dai. Comunque sullo scivolo ci sei andato.”
  • Atteggiamento remissivo o del Porgi l’altra guancia. “Certi bambini sono maleducati, non capiscono che ci sono delle regole. Cerca di avere pazienza.”
  • Atteggiamento colpevolizzando degli altri genitori o del Le colpe dei padri ricadono sui figli: “E’ colpa dei genitori che non gli insegnano come comportarsi. La prossima volta chiamami che ci penso io.”
  • Atteggiamento reattivo o del Occhio per occhio, dente per dente: “La prossima volta tu gli dai un spintone più forte e non lo fai passare avanti per nessun motivo. Vedrai che con una gamba rotta non riesce a salire sullo scivolo.”
  • Atteggiamento colpevolizzante di tuo figlio o del A’ bello addormentato nel bosco, vedi di darti una svegliata: “Ma che dormivi? Ti sei fatto passare avanti. Che non succeda più altrimenti ti riporto a casa.”
  • Atteggiamento rivoluzionario o del Al mio segnale scatenate l’inferno: “Tu e tutti gli altri bambini in fila dovevate impedirgli di passarvi avanti. Se lo spingevate via tutti insiemi, se ne sarebbe andato sicuramente.”

Al di là delle battute, chi ha bambini sa che non c’è niente di più serio che rispondere a una loro domanda. Succede che a distanza di giorni, tornino sull’argomento riportandoti quanto tu avevi detto in quell’occasione. 
Non ho una risposta preconfezionata e che vada bene per tutti e per tutte le circostanze. Dipende dalle nostre convinzioni, dal bambino, dall’età e dalla situazione. 
Sono convinto, però, che si debba dare un duplice insegnamento: di rispettare le regole e di farle/si rispettare

lunedì 1 dicembre 2014

Camminare facilita il dialogo #camminarparlando

Ultimamente mi capita più spesso di camminare insieme a mia figlia. Crescendo si stanca meno e ormai il passeggino è stato abbandonato.
Ad esempio, qualche sera fa mentre andavamo a piedi in biblioteca ho iniziato a parlare del fatto che quella mattina aveva fatto tante storie per alzarsi dal letto. Durante il percorso ci siamo confrontati e scontrati: “La mattina sono stanca”, “La sera non vorresti mai andare a letto”, “Puoi fare il riposino all’asilo”, “Ci sono bambini che non mi fanno dormire”…
Oppure, approfittando del caldo sole che ancora ci concede questo autunno, qualche pomeriggio fa siamo usciti e abbiamo fatto una camminata veramente lunga. Tanto che io ogni tanto dicevo “Ricordati che dobbiamo tornare indietro a piedi” e lei ribattevate “Sì, lo so. Ma voglio arrivare laggiù”. Così tra un “Lo sai come si chiama questo albero?” e un “Perché i cani abbaiano?” ho colto l’occasione per buttare lì qualche domanda sull’asilo, sui suoi amichetti, su quello che le piace di più o di meno.

Non ho elementi scientifici per affermarlo ma, mi sembra, che passeggiare insieme favorisca il dialogo. Sembra che venga più facile chiacchierare, raccontare e ascoltare.
Non so se camminando ci si rilassi o l’impegno fisico, più lieve rispetto alla corsa ma comunque presente, rilasci qualche sostanza nel nostro organismo e ci renda più predisposti a parlare rispetto a essere seduti da qualche parte. 
Non so se dipenda dal fatto che camminando il nostro sguardo sia normalmente rivolto verso la strada e solo ogni tanto ci si guardi. Alcune volte viene meglio parlarsi senza guardarsi negli occhi, forse per pudore. 
Non so se esistano spiegazioni... ma mi piace molto camminar parlando.