giovedì 5 ottobre 2017

Quote rosa “al maschile”

Da un lato leggo i dati 2016 dell’Ispettorato del lavoro che mostrano come, in Italia, maternità e lavoro siano ancora difficilmente conciliabili, dall’altro sento parlare di “quote rosa” e vedo come si stia cercando di metterle in pratica. Mi chiedo se possano essere davvero uno strumento utile per cercare di porre un freno a questa fuoriuscita dal mondo del lavoro delle neo mamme.

Le “quote rosa” partono dal presupposto che, lasciato da solo, il mondo del lavoro tende ad escludere le donne, in particolare da posti di responsabilità, in quanto caratterizzate da peculiarità che, da sempre in Italia, hanno riguardato il mondo femminile in contrapposizione di quello maschile. Prima tra tutte, la ricerca di una certa flessibilità dell’orario di lavoro che consenta la gestione e la cura della famiglia e dei figli.
Se c’è, come vogliono indicare le “quote rose”, un’impostazione di lavoro “al femminile”, diverso da quello “al maschile”, da valorizzare e da diffondere, bisognerebbe, però, che effettivamente le “quote rosa” favorissero davvero l’avanzamento di questa impostazione “al femminile”. Il rischio che vedo è che, nel concreto, con le “quote rosa” si cambi solo il genere interessato, donne vs uomini, ma non si introduca una vera nuova modalità di lavoro e che, al di là degli uomini o delle donne al comando, rimanga sempre in piedi un modo di lavorare considerato “al maschile”, fatto di mancanza di flessbilità, di disponibilità assoluta sul posto di lavoro al di là di giorni ed orari.

Non vorrei che, una volta nella stanza dei bottoni in virtù delle “quote rosa”, non si avvii concretamente un processo virtuoso a scendere lungo tutto l’organigramma delle aziende. E che le “quote rosa” rimangano un tema da piani alti, da dirigenti, da Consigli di Amminisitrazione o da squadra di Governo ma che abbiano veramente un impatto praticamente nullo nella vita di tutti i giorni delle madri lavoratrici.

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