domenica 3 ottobre 2021

Noi cresciuti senza traumi con i cartoni degli anni ‘80

Qualche giorno fa, parlando a cena con mia figlia dei suoi allenamenti di pallavolo, ci raccontava che qualche sua compagna si lamentava dei rimproveri dell’allenatrice.
A volte mi chiedo cosa sia successo tra la mia generazione e la sua, siamo passati non dico ad un’assenza ma sicuramente ad un’attenzione veramente leggera ad una focalizzazione estrema su qualunque cosa riguardi i bambini. Cosa viene detto loro, dalle parole usate al tono, i giochi che fanno, i programmi che guardano alla televisione, i libri che leggono o che dovrebbero leggere e chi più ne ha più ne metta.
Rispetto a loro, noi possiamo considerarci quasi dei sopravvissuti, siamo riusciti a diventare adulti nonostante tutto. Partendo addirittura dai cartoni animati che trasmetteva la tv. 
Per chi era una bambina negli anni ottanta e praticava pallavolo vedeva che le proprie eroine si allenavano come quasi fossero dei marines americani. Chi non si ricorda il famigerato allenamento di Mimi con le catene ai polsi o le tante pallonate prese in allenamento? In confronto a quei modelli, una sgridata non ci faceva alcun effetto. I nostri genitori non sapevano neanche cosa succedesse nei cartoni animati che guardavamo in tv, se passavano alla televisione dovevano essere adatti a dei bambini per definizione, e se ci lamentavamo che l’allenatore ci aveva sgridato ci rispondevano di getto che aveva fatto bene e che voleva dire che non lo stavamo ad ascoltare. 
Adesso siamo accanto a loro mentre guardano la tv e ci domandiamo se quello che dice o fa Peppa Pig possa avere chissà quale messaggio fuorviante o se e come possa influenzare il loro sviluppo. Per non parlare di insegnanti e/o allenatori il cui comportamento in classe ed insegnamenti vivisezioniamo quotidianamente per cercare di capirne gli impatti sulla psicologia e sull’apprendimento dei nostri figli.
Dovremmo fare tutti un po’ di sana autocritica perché non vorrei che tra una ventina di anni qualche pensionato volesse andare a parlare con il capoufficio del figlio ormai quarantenne perché ritiene che non valorizzi le sue capacità sul posto di lavoro.   

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