mercoledì 30 aprile 2014

Quel certo “senso della misura” #1maggio2014

Ricordo che da piccolo cercavano di insegnarmi un certo “senso della misura”. Non credo che dipendesse dal fatto di avere una sorella anche se, immagino, che questo abbia influito.
Banalmente per un bambino questo significa che non si debba pensare di mangiare un’intera porzione di torta lasciando gli altri a "bocca asciutta". Crescendo, penso che questo si traduca nel considerare, al di là di un normale egoismo che alcune volte può essere anche sano, gli altri come parte del nostro mondo.

Mi vengono queste riflessioni proprio per il 1° maggio.
Ho sempre pensato che una persona non sia il lavoro che fa. Sorrido, mi scuseranno, quando vedo nello scambio di mail tra genitori dell’asilo chi si firma lasciando titoli accademici o professionali. Che spreco di intelligenza per decidere il regalo delle maestre.
Non è però da sottovalutare il valore del lavoro che, volenti o nolenti, ci attribuisce un posto all’interno della società attraverso il nostro contributo, piccolo o grande che sia. Ci consente di avere un reddito per mandare avanti la nostra famiglia e dare opportunità ai nostri figli.
Mi stupisco, quindi, quando sento chi, pur guadagnando milioni, propone come soluzione il taglio di posti di lavoro di chi vive con poche migliaia di euro facendosi forza con lo slogan della riduzione del costo del lavoro. Mi chiedo, ma il loro non è lavoro?
Mi stupisco, ma forse non dovrei, perché non sembri quasi naturale cedere un po’ del loro tanto. 
Mi stupisco, ma forse non dovrei, di fronte a chi vuole mangiare la famosa torta tutta intera senza neanche pensare di darne una piccola fetta agli altri. 
Mi stupisco, ma forse non dovrei, che non alberghi in queste persone un minimo di "senso della misura".
Mi stupisco, ma forse non dovrei, perché probabilmente è proprio un modo di pensare completamente diverso dal mio.
Mi stupisco, ma forse non dovrei, perché probabilmente ragioniamo su piani completamente diversi e, quindi, risulta impossibile capirsi.
Mi stupisco, ma forse non dovrei, arrivando alla conclusione, che potrebbe apparire paradossale, che c’è chi sente di avere un destino superiore agli altri. 
Mi vengono in mente le parole della canzone di Frankie Hi-NRG MC:Sono come me ma non parlano con me ... Sono come me ma si sentono meglio”.

6 commenti:

  1. La nostra rappresentante di classe si firma da 4 anni con "dottore commercialista bla bla" eppure scrive a tutti indirizzi privati di genitori, forse cerca clienti.
    Sai io tutto sommato amo chi sa pensare in grande, ma nel vero senso della parola, ossia chi sa che per fare grandi cose occorre andare oltre se stessi. Il successo o il denaro sono le giuste ricompense dell'impegno, della determinazione, delle competenze ma non durano quasi mai nelle vite di chi calpesta chiunque. Ottenere molto, senza dare molto (o addirittura togliendo), è sterile e dannoso ... i veri "grandi" lo sanno, tutti gli altri si illudono e si perdono.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Concordo nel non penalizzare il talento ma in molti casi di talento non ce n'è.
      Mi stupisco solo nel non vedere freni a certa avidità, che non significa pensare in grande nel senso nobile del termine ma solo bulimia nell'accaparrarsi ricchezze senza limiti nei confronti degli altri.

      Elimina
  2. È che non siamo (più? ) capaci di salire sul tetto.
    Non ci indignamo oppure la nostra è indignazione sterile. :(

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Purtroppo certi sentimenti, come l'indignazione, prima erano l'eccezione adesso sono la regola e perdono quella forza propulsiva.

      Elimina
  3. ...mi piacciono queste riflessioni....mi piace osservare le contraddizioni di questa ns società! io sorrido di fronte alle piccole "affermazioni di potere" e mi ARRABBIO di fronte a quelle più grandi!
    Poi, a volte, quando decido di dedicare un po' del mio tempo ad ascoltare le "piccole affermazioni di potere" ...allora riesco ad intravedere dietro un "titolo sbandierato più del dovuto", oltre "un successo proclamato troppo ad alta voce", intravedo la fragilità, la componente emotiva che sta dietro "questo bisogno di consenso"... che, con modalità differenti, riguarda tutti noi!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. A diversi gradi ne siamo tutti coinvolti ma non per tutti, fortunatamente, ci sono conseguenze per gli altri.

      Elimina